Maalaa è intraducibile: in termini grossolani passa come l’equivalente indiano del "rosario". Induisti e buddhisti li usano per pregare, poi ci sono quelli che li collezionano, perché obiettivamente sono oggetti di grande fascino.
Maalaa (o Mala) è una corona di grani tenuti insieme da un filo. Come nella tradizione cristiana serve a contare le preghiere (o i mantra e le varie ritualità). Era donato dal maestro al discepolo come dono d’affezione.
Molti sono i materiali utilizzati: perle di fiume, semi di loto, legno di curcuma, di sandalo, di basilico (una pianta sacra in India), pietre preziose e, nel buddhismo, persino ossa umane. Ma tradizionalmente Maalaa si compone con i semi dell’albero Rudraksha, che significa "lacrime (occhi) di Rudra", altro nome per indicare Shiva.
I semi di quest’albero (Elaeocarpus angustifolius) sono particolari, sfaccettati (stranamente non sono tutti uguali, si va da una a 21 facce). Spesso i grani di un Maalaa sono 108, numero che corrisponde agli attributi di Shiva.
Si ritiene anche che usare un Maalaa comporti diversi benefici: per esempio, secondo i testi Puranici ha un effetto calmante sul sistema nervoso. Oppure, si dice anche che sfregare una Maalaa di legno di sandalo sulla fronte contribuisca a risolvere problemi quotidiani, conferendo alla vita una maggiore purezza.
La preparazione dei semi per comporre un Maalaa segue un ben determinato rituale, che prevede fumigazioni, immersioni in oli e altro. Non si indossa per fini estetici, ma per esigenze di elevazione spirituale. Vuole la tradizione che, per il suo potere, portare un Maalaa richieda alcune precauzioni.
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