Vi proponiamo un interessante articolo a firma di Adriano Cattaneo, del comitato NoGrazie. Nel discutere della relazione tra ambiente e salute, per esempio prima e durante la recente COP26 di Glasgow, sia i media popolari di vario tipo sia quelli scientifici si soffermano di solito sugli effetti che i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale hanno e sempre di più avranno sulla nostra salute. Per l’evento di Glasgow, per esempio, l’OMS ha presentato un rapporto speciale su clima e salute,[1] il Lancet ha anticipato l’uscita del suo “conto alla rovescia 2021”,[2] e il BMJ ha pubblicato una panoramica sulle revisioni sistematiche uscite in precedenza sul tema.[3] Le raccomandazioni per limitare l’aumento della temperatura globale a 1.5/2 C° riguardano ben noti settori: energia, ambienti urbani, trasporti, mobilità, attività industriali, foreste, oceani, allevamenti, catene alimentari, finanza. Poco si parla invece della relazione tra salute, o meglio sanità, e danni ad ambiente e clima. Eppure, il settore salute contribuisce per il 4,4% alle emissioni globali di gas serra,[4] tra il 5% e il 15% nei paesi della regione Europea dell’OMS.[5] In alcuni paesi, compresi paesi a reddito medio basso (Argentina, India, Kenya, Laos), vi sono piani nazionali per ridurre l’impronta ecologica dei sistemi sanitari. In altri paesi, gli USA per esempio, i piani sono locali o limitati a specifici servizi. In Italia, che io sappia, si stanno realizzando dei progetti pilota locali,[6] ma non esiste un piano nazionale. In realtà, non esiste nemmeno una stima delle emissioni di gas serra attribuibili al sistema sanitario. Oltre alla regione Emilia Romagna, gli unici che sembrano occuparsi del tema sembrano essere i Medici per l’Ambiente (ISDE), che quest’anno vi hanno dedicato un webinar.[7]
L’unico paese che, oltre ad avere un piano nazionale, ha anche fissato dei target, è la Gran Bretagna: il sistema sanitario britannico (NHS) dovrà raggiungere il livello di emissioni “net zero” entro il 2040.[8] Notare che il target non riguarda solo le emissioni dirette del NHS, ma anche quelle indirette, prodotte a monte dai fornitori di energia, attrezzature e materiali di consumo. Notare anche che “net zero” è diverso da “zero”; nel secondo caso si tratterebbe di eliminare del tutto le emissioni di gas serra, nel primo si accettano emissioni residue che però devono essere compensate acquistando crediti per colmare la differenza (riforestando, o evitando di deforestare, aree nello stesso o in un altro paese, per esempio). Per raggiungere il target nel 2040, o nel 2045 se si considerano anche le emissioni non controllate direttamente dal sistema, il NHS ha pubblicato nel 2020 una guida sugli interventi da mettere in atto.[9] Si tratta di rinnovare gli edifici a tutti i livelli, di rivoluzionare il sistema dei trasporti, di de-carbonizzare le forniture sanitarie e non (il cibo, per esempio), di razionalizzare lo smaltimento dei rifiuti (in primis producendone meno), di ridurre gli eccessi di diagnosi e trattamento. Lo sforzo dovrà, ovviamente, essere adeguatamente finanziato e dovrà coinvolgere, e formare, operatori e pubblico. I risultati dovranno essere monitorati, ma in questo la Gran Bretagna è facilitata dal fatto che le emissioni di gas serra del NHS sono misurate dal 1990 (avete letto bene: 1990).
Il piano britannico sembra essere sulla buona strada; dopo un anno dalla determinazione del target per il 2040, un gruppo di esperti ha certificato l’abbattimento di 1260 chilotonnellate di CO2 equivalenti, un po’ più di quanto era previsto per il primo anno.[10] Oltre ai cambiamenti strutturali, come l’istallazione di pannelli solari o la sostituzione di ambulanze diesel con modelli ibridi, questo successo sembra essere dovuto in parte anche alla creatività dei team clinici locali. Un articolo del BMJ riporta alcuni esempi: mascherine lavabili e riusabili al posto di quelle usa e getta; incentivi per andare al lavoro a piedi o in bicicletta; spegnimento delle luci quando non servono; meno email e più conversazioni faccia a faccia o al telefono; meno carne nelle diete; riduzione delle perdite nei circuiti di gas anestetici; coltivazione di ortaggi in orti ospedalieri; piantagione di alberi nei giardini circostanti.[11] Per far fiorire queste e altre iniziative, in ogni servizio, ospedaliero o territoriale che sia, si formano dei gruppi che, formalmente o informalmente, si incontrano periodicamente per discutere e sfornare idee.
Oltre alla dettagliata guida del NHS britannico, sono disponibili altri documenti su come rendere più ecosostenibili i servizi sanitari. L’OMS ha pubblicato nel 2020 una guida per rendere più resilienti climaticamente e sostenibili dal punto di vista ambientale le strutture sanitarie.[12] In essa si elencano i principi da seguire per migliorare infrastrutture, tecnologie e prodotti, per ridurre o eliminare la dipendenza da gas e petrolio per energia e trasporti, per ottimizzare i servizi idrici e di smaltimento dei rifiuti, e per aumentare efficacia ed efficienza degli interventi medici e sanitari. Gli autori di un articolo del BMJ, dopo aver passato in rassegna le principali fonti di emissioni di gas serra nei servizi sanitari, riassumono l’impegno dei clinici in direzione di servizi a emissioni “net zero” in 4 raccomandazioni, con questo ordine di priorità: ridurre incidenza e gravità delle malattie con efficaci misure di prevenzione; ottimizzare l’uso delle risorse disponibili, riducendo gli eccessi di diagnosi e trattamento; coordinare i servizi per evitare doppioni e trasporti ed edifici inutili; incoraggiare cambiamenti nei comportamenti clinici individuali per contribuire a raggiungere gli standard previsti da appropriate politiche verdi.[13] Una tabella molto dettagliata indica azioni da mettere in atto dagli individui, dalle organizzazioni sanitarie e dagli organismi che regolano le attività professionali o che stabiliscono le politiche sanitarie: ce n’è veramente per tutti. E in Italia?
BIBLIOGRAFIA
1. WHO. COP26 special report on climate change and health: the health argument for climate action. Geneva: World Health Organization; 2021 https://www.who.int/publications/i/item/cop26-special-report
2. Romanello M, McGushin A, Di Napoli C et al. The 2021 report of the Lancet Countdown on health and climate change: code red for a healthy future. Lancet 2021; 398:1619-62
3. Rocque RJ, Beaudoin C, Ndjaboue R, et al. Health effects of climate change: an overview of systematic reviews. BMJ Open 2021;11:e046333
4. Health care’s climate footprint: How the health sector contributes to the global climate crisis and opportunities for ac- tion. Health Care Without Harm and Arup; 2019 (https://noharm-global.org/sites/default/files/documents-files/5961/ HealthCaresClimateFootprint_092319.pdf)
5. Health central to climate change action. Fact sheet. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe; 2015 (https:// www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0020/295202/Factsheet3-health-central-climate-change-action.pdf)
6. Borrelli G, Sparano F. L’impronta ecologica dei sistemi sanitari nazionali: ridurla conviene. Altreconomia, Novem- bre 2017 https://altreconomia.it/sostenibilita-salute/
7. ISDE. L’impronta ecologica dei servizi sanitari: come ridurla? 14 giugno 2021 https://www.isde.it/evento/webinar- limpronta-ecologica-dei-servizi-sanitari-come-ridurla/
8. Torjesen I. NHS aims to become world’s first “net zero” health service by 2040. BMJ 2020;371:m3856
9. NHS. Delivering a “net zero” national health service. NHS, 2020 https://www.england.nhs.uk/greenernhs/wp-con-
tent/uploads/sites/51/2020/10/delivering-a-net-zero-national-health-service.pdf
10. Dodge I, Watts N, Bailie P. Delivering a net zero NHS: one year progress. October 2021. www.england.nhs.uk/wp- content/uploads/2021/09/item4-delivering-net-zero-nhs-updated.pdf
11. Wise J. Creating more sustainable practice: the NHS clinical teams innovating for a greener future. BMJ 2021;375:n2249
12. WHO Guidance for climate resilient and environmentally sustainable health care facilities. WHO, Geneva, 2020
https://www.who.int/publications/i/item/9789240012226
13. Sherman J et al. Net zero healthcare: a call for clinician action. BMJ 2021;374:n1323