Qualsiasi evento in gravidanza, compresa l’assunzione di farmaci o la somministrazione di vaccini, potrebbe mostrare un potenziale effetto teratogenico (che significa malformazioni, aborti, difetti del tubo neurale, cardiaci, focomelia, endometriosi…) oppure fetotossico. Purtroppo noi dimentichiamo sempre la nostra storia che vede un numero considerevole di farmaci ritenuti erroneamente sicuri per le donne in gravidanza (talidomide, valproato, dietilstilbestrolo, beta bloccanti, antibiotici…) la cui dannosità è stata poi dimostrata molti anni a seguire.
I dati pubblicati da ENFEA (fondo sanitario)(3) raccolti da uno studio coordinato dall’Italian Obstetric Surveillance System (rete di sorveglianza che dal 2013 raccoglie dati sulla mortalità materna) ed integrato con i dati dall’Istituto Superiore di Sanità, l’impatto della COVID-19 sulle donne in gravidanza è stato alquanto ridotto, e ben gestito dai reparti ospedalieri. E’ stato anche pubblicato un primo rapporto redatto con i dati raccolti fino a dicembre 2020, quindi in piena prima ondata di pandemia, su 667 gravidanze:
– La maggior parte delle infezioni si è presentata in forma lieve e moderata
– Solo il 2% ha subito ricovero in terapia intensiva
– 18,6% hanno sviluppato una polmonite interstiziale da covid
– Il 13% è andata incontro a PP, ma se si va a leggere il dato nel 71% dei casi la scelta è stata volontaria ad interrompere prima la gravidanza
– Tra le 667 donne non è stata registrata nessun decesso
– Dei neonati: 6 sono morti in utero, una è stata una morte neonatale ma nessuno era imputabile a covid
In Lombardia si sono confrontati i dati di mortalità in utero e neonatale nel 2019, ed in piena pandemia COVID ma non si è rilevata alcuna differenza.
Se si prosegue confrontando altri risultati estrapolabili sempre dalla letteratura internazionale, il quadro, per altro, appare diverso. Ad es. l’enorme studio USA di Zambrano ha incluso 33 volte più gravide infette (23.434) rispetto allo studio Intercovid e 430.000 donne infette non gravide di pari età, ha evidenziato che le prime erano ad aumentato rischio di terapia intensiva, aumento imputabile ai fisiologici cambiamenti in gravidanza (aumento della frequenza cardiaca e consumo di ossigeno, diminuzione della capacità polmonare, diminuita efficienza dell’immunità cello-mediata e aumento del rischio di malattia tromboembolica) ma hanno registrato meno mortalità rispetto allo studio precedente e soprattutto meno gap tra quelle gravide e non-gravide (mortalità: 1,5 x 1000 nelle gravide infette vs 1,2 x 1.000 nelle infette non gravide). Ma quello che è più interessante è che il numero di decedute è risultato sproporzionato tra le donne con svantaggio socio-economico. Inoltre nelle donne bianche gravide ed infette la mortalità si è attestata intorno allo 0,5 x 1000 e paradossalmente il dato era inferiore rispetto allo 0,7 x 1000 (cioè addirittura di più) delle donne bianche infette ma non gravide, che probabilmente avevano ricevuto meno cure ed erano state trattate con meno cautela rispetto a quelle in gravidanza.
Nessuno nega che una minoranza di donne gravide possa essere danneggiata da una Covid-19, in qualche caso in modo serio, ma quanto questo numero sia maggiore non si riesce a comprendere poiché i dati non potrebbero essere più discordanti.
Inoltre l’aumento del numero di ricoveri nelle donne infette gravide, rispetto alle infette non gravide, potrebbe in parte essere giustificato non necessariamente dalla reale gravità della malattia, ma comprensibilmente da precauzione medica. Stessa cosa vale anche per l’aumento dei parti pre-termini registrati in presenza di infezione da covid e giustificati per il 70% da scelte precauzionali concordate con la paziente. Bisogna quindi valutare in modo comparativo quanto sia preferibile l’alternativa vaccinale in gravidanza e non si tratta di confrontare gli effetti di una vaccinazione rispetto a quelli di una infezione da Covid-19 ma stabilire il numero di gravide da vaccinare perché a una di esse sia risparmiata l’infezione in gravidanza, tenendo conto della inconcludenza dei dati, che si contraddicono enormemente, e del fatto che comunque la maggior parte delle gravide fortunatamente sviluppa una infezione asintomatica o paucisintomatica bisognerebbe forse individuare le categorie a rischio (alto BMI, patologie materne pre-esistenti…) e scegliere per esse la migliore strategia.
La comunità scientifica in toto ha sempre dichiarato che “la vaccinazione durante la gravidanza deve essere presa in considerazione solo quando i potenziali benefici sono superiori ai potenziali rischi per la madre e per il feto”. I rischi della infezione da Covid-19 non vanno sminuiti ma bisogna evitare i sensazionalismi e vanno pesate anche le informazioni sui potenziali rischi del vaccino per madre e feto, a partire da quelli già quantificati dalla sorveglianza attiva nella prima settimana dopo l’inoculo, ma tenendo conto anche di quelli potenziali a lungo termine oggi non prevedibili. Seguendo questa premessa mi faccio illuminare dall’osservazione di un eminente collega Il dottor Hugh Taylor presidente del dipartimento di ostetricia e ginecologia dell’università di YALE che ha fatto una bellissima affermazione:
“Non c’è alcun aspetto negativo nell’essere cauti e nel proteggere il feto e poi il bambino”. Credo fermamente che dovremmo avere più cura ed attenzione nel proporre la vaccinazione in gravidanza e meno fretta ad estenderla globalmente a tutte le gravide.
Tutti noi operatori sanitari dovremmo appellarci sempre al principio della prudenza e del «primum non nocere, secundum cavere, tertium sanare» che tradotto significa: in primo luogo non fare del male, come seconda cosa agisci in sicurezza e con attenzione, ed infine favorisci la guarigione che in questo tempo di COVID sembrano principi troppo lontani e dimenticati.
Trovi l’articolo completo della dott.ssa Monica Perotti, ginecologa, con ampia documentazione scientifica, sul numero 112 de L’altra medicina.