La plusdotazione è una recente classificazione delle qualità intellettivo-interiori che arriva dalla Francia.
Secondo questa teoria, chi eccelle in particolari ambiti come quello scolastico, o magari anche artistico e musicale, può avere tratti di introversione e di ridotta interazione sociale in conseguenza del loro impegno occupazionale.
Questo porta in molti casi a difficoltà di interazione anche non plateale con il gruppo dei pari tali da determinare percezione di sentimenti distonici nel soggetto: da una parte dedica gran parte delle proprie energie per rafforzare il proprio talento, dall’altra
in attesa di ricompense si vede ricevere invece freddezza.
In tali circostanze il soggetto reagirà in base alla propria resilienza, ma i momenti duri possono esserci e a seconda delle concause possono essere di varia definizione.
Sta di fatto che una definizione psicologica in tali casi deve tenere conto del quadro complessivo in cui si inserisce la persona, non estraendone quindi il dato clinico in sé, equiparato in modo asettico l’uno all’altro.
In ogni caso un “qi” alto o un “qe” vario (quozienti intellettivo ed emotivo), non misureranno di per sé a sufficienza i valori di quella persona, il suo ottimismo pluralmente espresso, la speranza che la contraddistingue.
Voglio anche ricordare due cose intercorrelate:
-esistono persone plusdotate che sanno, o non sanno, di esserlo e possono avere un complesso particolare di caratteristiche psichiche o mentali per cui possono raggiungere eccellenze specifiche, pur in presenza di comportamenti che si possono definire non usuali o perfino inquadrabili nel contesto delle diagnosi di tipo psicologico (o psichiatrico). Questo vale per artisti, scienziati, e anche per premi Nobel.
-esistono comunque molte persone non plusdotate che hanno spesso proprie specifiche capacità e talenti inespressi che possono parallelamente vivere condizioni psicologiche complesse.
Trovi l’articolo completo di Dora Dragoni Divrak sul numero 114 de L’altra medicina.