Correre a piedi nudi regala sensazioni di piacevole sorpresa.
Tra le sensazioni più frequenti, oltre ad una generale impressione di libertà, c’è la consapevolezza di ogni più piccola asperità del terreno, la percezione della temperatura del terreno ed anche della sua maggiore o minore umidità. E in più un massaggio alla base del piede totalmente diverso rispetto a quello riservato al piede incarcerato nella scarpa, che tocca in modo naturale alcuni punti di benessere ben noti a chi si occupi di riflesso logica plantare con ricadute benefiche su diversi organi interni.
In effetti, se ci si pensa, con il passaggio da quadrupedi a bipedi, abbiamo dovuto spostare tutta una serie di informazioni tattili dalle mani ai piedi, riformulando tutti i riflessi corporei in relazione alla nuova postura. Il piede è così diventato un organo percettivo e informativo di alto valore che, rinchiuso in una calzatura, perde la quasi totalità della propria sensibilità. Che significa che se un terreno è cedevole, sabbioso, scivoloso, erboso, bagnato, noi semplicemente non lo sappiamo e dobbiamo basare i nostri movimenti reattivi solo su ciò che vediamo, senza alcuna informazione su ciò che sentiremmo con il piede. Come amputazione percettiva non c’è male.
Correre a piedi nudi, come confermato da molti ortopedici, è più sano in quanto rinforza la muscolazione, riduce le tensioni del piede, e infine rinforza tendini e legamenti, che stabilizzano il piede e lo proteggono da infortuni. Inoltre la corsa a piedi nudi sposta il peso dell’impatto sull’avampiede, risparmiando il tallone, e ottenendo così una postura più naturale che affatica meno le ginocchia. Se il piede infatti utilizza il suo arco plantare (costruito da madre natura proprio per essere arco, e non suola piatta) per ammortizzare l’impatto sul terreno, a ginocchia, anche e schiena vengono risparmiati colpi e shock che invece riceverebbero se il piede fosse costretto ad una postura più rigida nella scarpa. Il piede è costituito infatti da una cinquantina di piccole e grandi ossa articolate tra loro proprio allo scopo di fare da ammortizzatore naturale degli impatti.
Un piede mai allenato a lavorare libero ha bisogno di tempo per creare quegli adattamenti muscolari, articolari e legamentosi che gli serviranno per sostenere il movimento del corpo. Così come un muscolo non allenato potrà sollevare all’inizio solo pesi minimi, sarà bene che un piede non abituato alla corsa naturale ci arrivi con gradualità. Prima di arrivare al piede nudo si potranno utilizzare scarpe minimaliste, come le Saguaro o le mitiche Fivefingers (le scarpe con le cinque dita separate): i benefici della corretta postura si avranno comunque. Si perderà solo una parte di sensibilità tattile sul terreno. Le dita libere infatti si muovono liberamente e arpionano il terreno ampliando la superficie di appoggio e distribuendo meglio il peso dell’atleta.
Una buona via di mezzo tra scarpe ordinarie e corsa a piedi nudi (o con copertura minimale), si può trovare oggi con marche specializzate che realizzano calzature cosiddette “a drop zero” (che vuol dire zero dislivello tra avampiede e tallone, come nel piede nudo) e con la tomaia che lascia libere le dita nell’avampiede.
Per disabituarsi lentamente alla rigidità delle scarpe e beneficiare delle sensazioni del natural running, inizialmente è meglio svolgere brevi sessioni di allenamento, possibilmente su un terreno morbido ed elastico, come un prato, un sentiero, una spiaggia. Poi si può aumentare progressivamente la distanza.
Correre a piedi nudi, o appena protetti, può restituirci per qualche ora l’emozione ancestrale della corsa in natura, facendoci riappropriare con gusto di emozioni nascoste da troppo tempo nelle nostre scarpe.
Provare per credere, con gradualità e prudenza, per riappropriarci piano piano di un altro importante pezzo di noi.
Trovi l’articolo completo del dott. Luca Speciani sul numero 108 de L’altra medicina.