Le proprie forme da molte donne da tempo sono vissute come fonte di ansia. Il bisogno di perfezione, di accettazione, di omologazione ai canoni nell’era di internet e dei social è ai limiti della psicosi.
Uno strumento che diventa un’arma che si rivolta contro le donne, soprattutto contro le giovanissime, che vedono i loro corpi sezionati in “punti critici” da omologare, confrontare in modo impietoso, analizzare e mettere alla berlina ogni piccola zona non “perfetta”, anche quando questa sia semplicemente una caratteristica morfologica peculiare di quella persona.
L’ansia di essere perfette, accettate, raggiunge livelli impensabili, creando insicurezze nelle ragazze che non sapevano prima di quel momento di non essere conformi ad un determinato dogma. Complici anche dei diabolici programmi di ritocco, le ragazze confrontano sui vari social i propri corpi, chiedendo approvazione del loro essere, cercando di raggiungere una forma ideale che si allontana sempre di più dalla anatomia umana. Quello che chiedono è approvazione della loro fisicità, ma è un bisogno di essere accettate come persona. Ma ogni persona è ben altro che le proprie misure, ma questo dovremmo essere noi ad insegnarglielo.
Purtroppo certe immagini possono destabilizzare le ragazze più fragili, e spesso non solo loro. On line si trovano foto di ragazze scheletriche con spalle larghissime, gabbie toraciche che si restringono in modo improbabile in vitini di vespa che non conterrebbero nemmeno un semino d’uva figuriamoci degli organi, che poi esplodono in fianchi innaturalmente rotondi, con una pelle in cui i pori sono scomparsi per far posto ad una lucentezza plasticosa (non plastica, proprio plasticosa!).
Molto si nasconde dietro queste foto.
L’odio verso il proprio corpo è un grido di dolore, un bisogno disperato di approvazione, che invece di essere lenito da parole di comprensione, viene amplificato dalla rete che propone le sue soluzioni magiche per entrare nel tritacarne dell’omologazione a tutti i costi: e chi non ne esce perfetto, è perduto.
E questo modo di mettere alla gogna il corpo delle giovani donne è figlio di una cultura che a fronte di una sbandierata emancipazione, ancora vuole l’estetica femminile come una serie di caratteristiche da rispettare, piuttosto che una armonia fatta di forme, armonie, gesti, anima.
E di questo dobbiamo ritenere responsabile anche una certa formazione dei professionisti della scienza dell’alimentazione, basata solo sui numeri, sulle misure, sulle tabelle, su definizioni tristi e umilianti, che fanno sentire il paziente solo come un insieme di errori e orrori da modificare, un numero da raggiungere, e non una vita da far splendere.
Trovi l’articolo completo della dott.ssa Manuela Navaci sul numero 107 de L’altra medicina.