La cura per la CoViD-19 (che è la seconda SARS) si conosceva ed era in letteratura fin dalla prima SARS del 2002-2003, adoperata anche nella MERS del 2012. L’elevata somiglianza aminoacidica fra le proteine virali SARS-CoV-1 e SARS-CoV-2 supporta la sperimentazione di molecole terapeutiche progettate per trattare le infezioni da SARS durante l’epidemia del 2003”. Perfino l’ipercoagulazione e le tromboembolie erano già presenti in queste due altre infezioni da coronavirus, con anche le trombosi dei vasi polmonari, le trombosi multiorgano con poliangite e disturbi della microcircolazione e gli ictus ischemici nella SARS, le emorragie cerebrali con insufficienza multiorgano nella MERS e gli effetti del MERS-CoV sulla coagulazione dimostrati anche sperimentalmente. Invece, il governo e le autorità sanitarie hanno spudoratamente mentito: “Non è a oggi disponibile alcun farmaco e non esiste attualmente alcun trattamento”, così si è espresso il governo. “In questa fase in cui non c’è ancora un vaccino certo e sicuro e non ci sono cure certe ed efficaci, queste misure restrittive sono inevitabili e fondamentali: sono l’unico strumento possibile” dichiarava il ministro della Salute Speranza.
Anche il plasma iperimmune dei convalescenti, che guarisce rapidamente i malati più gravi e la cui efficacia nelle infezioni da coronavirus è noto fin dalla SARS per essere efficace con i SARS-CoV , con H1N1, con riduzione della carica virale e delle citochine pro-infiammatorie, è stato del tutto avversato con un accanimento particolare. Il plasma può essere utile nelle gravi infezioni da SARS-CoV-2 , anche in associazione con altre terapie. Nella CoViD-19 si possono trasfondere grandi quantità di anticorpi specifici e il plasma si è dimostrato efficace in Italia, in Cina, negli Stati Uniti e un po’ ovunque. È una terapia sicura, valida anche su pazienti gravi e sulle varianti. I pazienti di CoViD-19 sono morti poiché non sono stati curati o non sono stati curati correttamente. I protocolli hanno imposto la strategia della “vigile attesa” che consiste nell’aspettare a curare finché non ci siano sintomi gravi e si traduce nel non curare i malati: è per questo motivo che milioni di pazienti sono finiti in ospedale.
Nel modulo di consenso informato da far firmare ai pazienti è scritto: Lei verrà trattato in base ai protocolli attualmente in uso e approvati da vari comitati scientifici: paracetamolo o antinfiammatori, desametasone (non prima di 72 ore dall’inizio dei sintomi) o prednisone, enoxaparina (solo nei pazienti immobilizzati per l’infezione in atto), antibiotici solo in caso di sovrapposizione batterica. Tutto questo è privo di senso e bisognava agire all’opposto: l’eparina avrebbe dovuto essere somministrata subito, avrebbero dovuto essere adoperati subito idrossiclorochina e azitromicina, che invece non sono menzionati.
Non c’è motivo di ritardare il cortisone e, soprattutto, il paracetamolo era controindicato nelle infezioni virali, non è un antinfiammatorio e non è bene che abbassi la febbre. A raccomandare il paracetamolo sono l’OMS, l’EMA, il NICE (National Institute for Health and Care Excellence), le stesse agenzie che sconsigliano idrossiclorochina e azitromicina. Piero Sestili (Università di Urbino) e Carmela Fimognari (Università di Bologna) hanno sottolineato che il glutatione ridotto (GSH) è molto importante nelle difese antivirali e che il paracetamolo lo inibisce.
Trovi l’articolo completo a cura della redazione sul numero 118 de L’altra medicina.