La disfunzione sessuale da farmaci è una realtà drammatica e invisibile.
PSSD è la sigla per la disfunzione sessuale post utilizzo di antidepressivi, ed è sempre più diffusa.
É un effetto collaterale che i prescrittori compulsivi di psicofarmaci “dimenticano” di segnalare a coloro che ne fanno uso.
Se creo un farmaco per il diabete o per l’ipertensione, per valutarne l’efficacia devo rilevare una variazione significativa dei valori della glicemia o della pressione. Se la glicemia o la pressione non scendono assumendolo, il farmaco è inutile. Nel caso dei farmaci psichiatrici invece, siano essi tranquillanti, antidepressivi o antipsicotici non c’è nessun valore numerico da alzare o abbassare ma solo l’esito di questionari. Messi a punto da chi? Facile indovinare: dall’industria farmaceutica, ovvero dalle società scientifiche da essa generosamente finanziate.
Vengono dunque approvati psicofarmaci che (come ben messo in evidenza dagli studi di Irving Kirsch, nel suo splendido libro “Antidepressivi, il crollo di un mito”) nella migliore delle ipotesi hanno differenze di efficacia del 25% rispetto ad un placebo, su base questionario.
Dice Kirsch: un effetto collaterale può avere senso quando “in cambio” si ottiene un risultato efficace sulla salute del paziente. Ma se il risultato è zero, l’etica medica non dovrebbe vietare di nuocere in assenza di qualunque vantaggio?
Stiamo parlando di farmaci il cui effetto varia dall’acqua fresca fino ad un buon effetto placebo (che nessuno nega) che generano però anche dipendenza, insieme ad un vasto corredo di spiacevoli effetti collaterali che vanno dall’obesità agli sbalzi d’umore, dalle cardiopatie fino (appunto) alle disfunzioni sessuali.
Quando qualcuno prova a liberarsi dalla schiavitù della dipendenza farmacologica, scatta il cosiddetto “effetto rebound” (rimbalzo) per cui l’organismo, precedentemente abituato all’uso dello psicofarmaco, reagisce con vere e proprie crisi di astinenza, con sintomi che spesso sono di gran lunga peggiori rispetto a quelli per cui il rimedio era stato assunto all’inizio. La deduzione dei pazienti in quella situazione è quindi di “avere davvero bisogno” di quel farmaco, nonostante gli effetti collaterali, perché senza stanno peggio.
Prescrivere un farmaco in grado potenzialmente di creare un danno permanente all’organismo del paziente è un atto che richiede molta cautela, e soprattutto consapevolezza e consenso da parte del paziente stesso. Quanta fretta invece da parte dei medici nel prescrivere questo e quello.
Perché?
Il fatto è che la sessualità non viene mai presa in considerazione dalle case farmaceutiche. Tantissimi farmaci (per esempio antipertensivi, diuretici, tranquillanti, statine, antistaminici, antipertrofia prostatica, pillola anticoncezionale, tamoxifene ecc.) hanno come effetto una riduzione del desiderio sessuale, della funzione erettile o della capacità di provare piacere.
Trovi l’articolo completo del dott. Luca Speciani sul numero 105 de L’altra medicina.