La dipendenza da zuccheri esiste davvero?
L’assuzione di zuccheri, più di quanto avvenga con qualsiasi altro alimento, comporta attivazione dopaminergica e rilascio di serotonina.
La dopamina è un neurotrasmettitore essenziale al circuito di ricompensa e alle dinamiche di dipendenza, sia da sostanze che comportamentali.
Difatti alcuni studi (DiNicolantonio et al., 2017; Avena et al., 2008) rilevano che, dal punto di vista chimico, sia corretto parlare di una vera e propria dipendenza da zuccheri.
Come ogni dipendenza, comporta:
- tolleranza, ovvero necessità di aumentare la dose assunta per ottenere lo stesso livello di piacere;
- craving, cioè ricerca spasmodica della sostanza di abuso;
- sindrome da astinenza, consistente in alterazioni psicofisiologiche legate alla sospensione dell’assunzione.
L’opportunità di sfruttare tale dipendenza a fini commerciali non è certo passata inosservata all’industria alimentare.
Sono molti gli ambiti nei quali la conoscenza dei nostri innati sistemi di ricompensa può essere sfruttata per spingerci a determinate azioni.
La manipolazione del comportamento alimentare è sicuramente tra questi e le aziende investono enormi somme di denaro per perfezionare le loro strategie di controllo sul rilascio della dopamina.
Inoltre, ingerire zuccheri correla col rilascio di serotonina, altra motivazione per cui
sul momento si prova una sensazione piacevole.
Tuttavia non si può davvero dire che l’assunzione di dolci faccia bene all’umore perché, anzi, se ripetuta spesso, l’alterazione serotoninergica provoca una diminuzione della serotonina disponibile, con conseguente calo dell’umore, cui alcuni tentano di porre rimedio mangiando altri zuccheri, in un circolo vizioso che a lungo andare favorisce gli stati depressivi.
Trovi l’articolo completo del dott. Benedetto Tangocci sul numero 128 de L’altra medicina.