La tiroide c’entra con l’obesità?
Per rispondere alla domanda “la tiroide c’entra con l’obesità”, dobbiamo prima provare a comprendere perché l’essere umano abbia bisogno di un regime alimentare di tipo normocalorico e normoproteico. Le origini ancestrali del nostro organismo fanno sì che ove non sia rispettato un adeguato apporto calorico il corpo si metta in una condizione “difensiva” che preluderà a un futuro ingrassamento. Gli studi sulla leptina esprimono ormai con chiarezza questa palese evidenza scientifica
L’obesità: ecco i dati!
Gli ultimi decenni hanno visto crescere le percentuali di obesità e sovrappeso nel mondo occidentale in modo esponenziale. La colpa del fenomeno è attribuita al cambio delle abitudini di vita. Niente più scuola a piedi, uso dell’auto sempre più capillare…
Su questo, nulla da dire. Una messe infinita di lavori scientifici conferma il fatto che appena smettiamo di muoverci, partono segnali di rallentamento metabolico rivolti al cervello che tendono a ridurre la massa muscolare, a limitare il lavoro della tiroide e a modificare il profilo lipidico verso un maggior rischio cardiovascolare. Dal punto di vista dietologico, invece, la “colpa” (secondo l’ingenua equazione: grasso corporeo = grasso assunto con il cibo) è stata assegnata all’eccesso calorico, in particolare all’eccesso di grassi nell’alimentazione. Su questa base, ahimè condivisa da molti esperti, sono partite decine di progetti educazionali nelle scuole e attraverso i media, il cui risultato negli anni è stato quel delirio di prodotti “light”, a cui erano stati tolti grassi e/o zuccheri, senza mi nimamente considerare le risposte e le reazioni del nostro corpo a tali sottrazioni.
Infatti l’organismo a cui sia sottratto l’apporto lipidico e vitaminico della componente grassa della colazione del mattino, si troverà magari ad avere appetito a metà mattina, andando poi a ricercare uno spuntino compensando del tutto il risparmio calorico della scrematura e peggiorando dal punto di vista qualitativo l’apporto di nutrienti.
Una sostituzione di grassi con carboidrati (a parità di calorie assunte) è infatti documentatamente in grado di aumentare l’impatto sulla glicemia, provocando un maggiore innalzamento dei livelli di insulina con tutti gli effetti metabolici connessi. Tra questi, un aumento dell’appetito a breve distanza dal pasto e un innalzamento dei livelli in fiammatori dell’organismo in grado di predisporre l’individuo verso il fenomeno della “resistenza insulinica”. La presenza di grassi all’interno degli alimenti agisce infatti in due direzioni: da una parte fornendo un senso di maggiore sazietà, dall’altra rallentando l’assimilazione dei carboidrati, contribuendo così a una corretta modulazione dei livelli ematici degli zuccheri, dell’insulina e della leptina.
Una caloria è sempre una caloria?
I sostenitori del bilancio calorico, tuttavia, hanno continuato per anni a difendere questa impostazione basandosi sull’assunto che afferma che una caloria è sempre una caloria.
Tale assunto, pur termodinamicamente corretto (nel senso che l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma) è assolutamente errato se lo si esamina dal punto di vista degli effetti biologici degli alimenti. A seconda del fatto che gli ormoni tiroidei trasformino l’energia assunta col cibo in energia utilizzabile per il consumo o l’accumulo (ATI’) o almeno in parte in semplice calore, può cambiare moltissimo. Nel primo caso TATI’ prodotto in eccesso rispetto ai fabbisogni può essere usato per costruire grassi, zuccheri o proteine (ov vero per accumulare), nel secondo il calore viene “sprecato” per riscaldare il corpo o semplicemente per essere disperso.
È evidente pertanto che dal punto di vista dell’accumulo di grasso una caloria può non essere uguale a una caloria, posto che le sue condizioni di assunzione siano differenti.
E d’altra parte sotto gli occhi di tutti il fatto che vi siano individui che mangiano di tutto e di più mantenendo una linea invidiabile, mentre altri, che stanno attenti all’aria che respirano, non riescano a perdere un grammo.
Centrerà la tiroide con l’obestià?
Ma la tiroide c’entra con l’obesità? Beh, dire che la responsabilità è “della tiroide” è raccontare solo un pezzo della verità, perché la tiroide, in fondo, è solo un buon esecutore di comandi che invece provengono dal cervello, precisamente dall’ipofisi, e ancor prima dall’ipotalamo, il nostro regolatore degli equilibri omeostatici riguardanti la temperatura corporea, la pressione, la ritenzione idrica e, infine, anche l’accumulo di grasso. Capire questo richiede un cambio di paradigma che non tutti sono in grado di operare!
Ciò che ci proponiamo di fare con un approccio dietologico di segnale è dunque capire quali siano le dinamiche di comunicazione tra i centri di regolazione dell’accumulo e del consumo e su questa base cercare di interagire parlando lo stesso linguaggio. Possibilmente attraverso vie naturali di approccio. Ragionare di sole calorie significa non avere compreso questo linguaggio, e disporre di una sola freccia, peraltro un po’ spuntata, per col pire il bersaglio.
Lavorare invece con insulina, leptina, ghrelina, CCK, NPY e tutta la gamma di molecole segnale in grado di interferire con l’equilibrio energetico del corpo significa avere a disposizione un’ampia faretra con molte frecce, alcune delle quali particolarmente appuntite. Quello che è certo è che con l’impostazione fino a oggi seguita delle riduzioni caloriche, dei “latti scremati” e degli edulcoranti artificiali non si è arrivati da nessuna parte.
E giunta l’ora per un cambio di paradigma che ci aiuti, una volta per tutte, a stimolare i reali segnali metabolici che possono fare dimagrire un individuo.
Leptina ed altri segnali endocrini
Quando Friedman, nel 1994, ha scoperto che il tessuto adiposo secerneva una molecola chiamata “leptina” è stato assestato un primo importante scossone alle posizioni dei dietologi convinti che tutto dipendesse dalle calorie.
Ma perché è così importante la leptina nei nostri equilibri energetici? Il motivo è che la leptina, secreta dalle cellule adipose in conseguenza di un’alimentazione ricca e completa, rappresenta il segnale ipotalamico più importante per orientare l’organismo verso l’attività e il consumo, piuttosto che (se la leptina non c’è o non ce n’è a sufficienza, o quella che c’è non viene “letta”) verso il risparmio energetico e l’accumulo di scorte.
Una volta che il segnale leptinico è correttamente arrivato a informare l’ipotalamo (per la precisione in un gruppo di neuroni chiamato “nucleo ar cuato”), il messaggio è irradiato verso altre zone deputate a specifiche funzioni. Per prima cosa la leptina spegne la fame di cibi zuccherini, attraverso l’inibizione della secrezione di un neurotrasmettitore chiamato NPY (neuropeptide Y). Fin qui nulla di strano: se mangiamo a sufficienza ci passa la fame. E però curioso notare che la secrezione di NPY è permanentemente attivata, tranne quando l’ipotalamo riceve il segnale leptinico in grado di spegnerla (in altre parole: l’evoluzione ci ha fatti sempre affamati, ed è solo con un chiaro segnale di alimentazione completa che la fame si può attenuare).
La seconda azione della leptina è ancora più importante di quella sulla fame. Le proiezioni nervose infatti riguardano aree del cervello deputate alla regolazione dell’attività ormonale della tiroide, del surrene, di ovaie e testicoli e alla modulazione dello sviluppo di muscoli.
In parole povere: tutti gli assi metabolici più importanti del nostro organismo sono sotto il controllo della leptina. Se c’è leptina tutti questi assi sono attivati. Se non c’è leptina questi assi sono inibiti.
I risultati di un regime alimentare non controllato?
Avremo dunque ossa fragili, muscoli insignificanti, tiroide lenta, scarsa capacità di risposta allo stress (depressione) e riduzione complessiva della fertilità e del desiderio. E dal punto di vista del ritmo metabolico avremo un forte rallentamento delle nostre capacità di consumo, perché il corpo si difenderà dalla carenza di cibo attraverso una pro pensione all’accumulo leptino-mediata.
Questa tecnica di “risparmio energetico” è stata messa a punto dal nostro organismo negli ultimi due milioni di anni della nostra evoluzione: l’adattamento alla restrizione alimentare tramite la formazione di preziosi depositi di grasso erano una potente arma di sopravvivenza.
La situazione si complica se ai segnali della leptina sovrapponiamo quelli provenienti da altri organi: dal pancreas (insulina, glucagone, somatostatina), dallo stomaco (ghrclina), dall’intestino (CCK, GLP- 1, PYY) e ancora dagli adipociti (adiponectina, resistina). Ciascuno di questi segnali segue una sua logica e interagisce con gli altri sinergicamente o in opposizione. E solo lavorando su quei segnali, comprendendo che essi rappresentano il linguaggio attraverso il quale i nostri centri di regolazione lavorano, che il grasso superfluo potrà eventualmente essere stabilmente rimosso.
Imparare a dialogare con le risposte innate del nostro cervello, inviandogli i segnali corretti rivolti al consumo, rappresenta la chiave di volta per un processo di dimagrimento stabile, duraturo e permanente. Graduale, ma sicuramente efficace.
Per altre curiosità sulla Tiroide, vi aspettiamo sul numero 131 de L’Altra Medicina Magazine, in edicola e online!