Le interazioni tra corpo e psiche
La medicina o è psicosomatica o non è medicina. Questa l’idea di fondo espressa da alcuni grandi psicosomatisti del secolo scorso e ripresa più volte da mio padre Luigi Oreste, da alcuni considerato uno dei capostipiti della medicina psicosomatica in Italia.
La mia esperienza scientifica e clinica, maturata in campi differenti, mi ha portato a riflettere sul fatto che un medico completo, che cerchi la vera guarigione del proprio paziente, non può esimersi dall’affrontare anche gli aspetti psicologici che accompagnano o in altri casi sostengono la malattia.
Corpo e Psiche: Le due metà del corpo
Il bravo psicologo deve prendere atto del fatto che con il suo lavoro sta svolgendo a tutti gli effetti un atto medico, che può avere conseguenze profonde sul piano fisico oltre che su quello psichico, sulla base del fatto che aspetti fisici e psichici altro non sono che fenomeni espressivi differenti di una sostanziale unità. Che non può non essere colta da chi si ponga come terapeuta “isolato” nell’uno o nell’altro campo.
“Siamo tutti nani sulle spalle di giganti”
Ebbe a dire Einstein riferendosi al fatto che ciascuno scienziato può raggiungere nuovi traguardi solo grazie a quanti lo hanno preceduto con le loro scoperte, consentendoci di spiccare il volo.
Nei confronti della psicosomatica, dunque, proveremo qui a fare un salto in avanti, consentitoci solo dalla grandezza di coloro che ci hanno preceduto, intuendo, talvolta senza alcun supporto biologico o molecolare, l’intima correlazione bidirezionale tra corpo e psiche. Alcuni dei miei maestri hanno a lungo lottato contro concezioni riduzionistiche e meccanicistiche dell’uomo e della sua salute introducendo una visione più ampia e articolata della sua complessità.
Il fenomeno della bidirezionalità: interazioni tra Corpo e Psiche
Il fulcro di molte teorie e lavori incentrati sulle interazioni corpo/psiche della fine del secolo scorso altro non è se non la convinta descrizione del fatto che la mente sia in grado di influenzare in modo potente alcune risposte corporee, fino al sorgere della malattia.
I più illuminati arrivarono anche a definire una bidirezionalità del fenomeno, che non aveva più quindi una direzione gerarchica mente/ corpo ma anche l’inverso, trasformandosi in una relazione continua di dialogo e di interazione.
Le conoscenze biochimiche e ormonali della seconda metà del secolo scorso, tuttavia, non consentivano un inquadramento preciso di questi fenomeni all’interno di cellule e organi. La bidirezionalità di segnale Pnei tra sistema nervoso e sistema immunitario si deve a Blalock a metà degli anni ‘70. E la scoperta di Friedman della leptina, forse il più potente ormone di regolazione delle funzioni ipotalamiche, risale appena al 1994.
Grazie a queste nuove conoscenze i meccanismi di interazione tra mente e corpo sono stati grandemente chiariti e hanno sancito in modo chiaro e inconfutabile la “vittoria” degli psicosomatisti verso coloro che, ciechi e sordi ma ahimé non muti, negavano qualunque influenza patologica o di guarigione agli aspetti psichici.
Chi nel secolo scorso si era occupato dell’interazione tra questi aspetti interconnessi era evidentemente un miglior medico rispetto a coloro che li ignoravano.
Se la medicina del nuovo secolo si sta perdendo tra esami inutili, abusi farmacologici e totale perdita di vista delle vere cause della malattia, la colpa è anche in parte di chi, impermeabile a ogni richiamo, ha voluto negare per decenni l’esistenza dell’altra metà dell’essere umano.
Il successo o la fine della psicosomatica?
La vittoria della psicosomatica, ne ha anche, in un certo senso, decretato la fine.
La dimostrazione biologica, biochimica e molecolare di tutto ciò che veniva affermato dagli psicosomatisti ha consentito alla fine a chi era bloccato nello schema puramente meccanicistico dell’uomo- robot, di affermare che in fondo le nuove scoperte dimostravano solo che tutto era, appunto, biochimico e biologico.
Lasciamo loro questa piccola soddisfazione, a due condizioni.
La prima è che ammettano di avere sbagliato: i nostri pensieri, le nostre convinzioni, la nostra cultura, le nostre esperienze sono in grado di influenzare con forza la nostra salute e la nostra malattia.
La seconda condizione è che, preso atto di queste evidenze scientifiche, si accetti finalmente di costruire insieme una medicina più rivolta all’uomo.
Viene quindi a verificarsi una sostanziale unità d’intenti tra una metodologia psicologica rivolta all’efficacia terapeutica, e una medicina umana che rifiuta la pura soppressione sintomatica per perseguire una vera guarigione.
Entrambe queste correnti di pensiero hanno ribaltato molte delle convinzioni dominanti. In campo psicologico è stata ridata dignità a un processo di cura rivolto all’efficacia.
In campo medico si è dato valore ai processi interni di guarigione lavorando su alimentazione, movimento, stile di vita.
Mangiare sano e abbondante, muoversi con piacere e amare ciò che si vive è forse una ricetta troppo semplice per chi si diletta di innovativi strumenti diagnostici e di farmaci soppressivi di ultima generazione, ma una guarigione vera e duratura passa da qui.
Ed è quella che ogni bravo psicologo (che non sa di essere anche medico) e ogni bravo medico (che non sa di dover essere anche psicologo) devono perseguire ogni giorno.
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