Come è stato possibile che in solo pochi decenni la fiducia media delle persone verso i medici e la medicina sia calata a livelli bassissimi?
Tante situazioni hanno contribuito al danno: i protocolli sempre più vincolanti che hanno tolto libertà decisionale; i valori degli esami sempre più ristretti per poterci definire tutti malati; la medicina difensiva; l’ingerenza sempre più invadente delle aziende farmaceutiche sulla ricerca e sulle prescrizioni; l’iperspecializzazione dei laureati e chi più ne ha più ne metta. Ma il colpo di grazia è arrivato dalla recente pandemia, in cui tanti, troppi medici hanno passivamente accettato di diventare meri esecutori di istruzioni provenienti da istituzioni al soldo dell’industria. Capire l’entità del problema può già essere un primo passo verso la sua soluzione.
Il sistema sanitario nazionale
Oggi il paziente si trova ad essere palleggiato tra un medico di base che spesso – per quanto esperto e preparato – ha da dedicare in media tre minuti a ciascuno, e uno specialista – talvolta indicato dallo stesso medico di base per un approfondimento – che si occuperà di un solo pezzo del corpo del paziente malato, spesso ignorando altre aree ed altri sintomi, di evidente competenza di altri specialisti, in totale assenza di un “coordinatore” centrale in grado di orientare il paziente verso le cure complessivamente e individualmente più idonee alla sua situazione. Questa figura di coordinamento, che in teoria dovrebbe essere coperta dal medico di base, in verità – fatta salva qualche singola virtuosa realtà – oggi non esiste. Come potrebbe il povero medico di base, oberato da 1500 pazienti e da una miriade di spesso inutili oneri amministrativi, dedicare a ciascun paziente il tempo necessario a vedere chiaro all’interno di situazioni a volte anche molto complesse? Molto più semplice e meno impegnativo prescrivere un farmaco in pochi secondi augurandosi che risolva, come per magia, il mal di testa, il dolore articolare, la rinite allergica, il temporaneo rialzo pressorio.
Ricordo durante il mio tirocinio post laurea di aver affiancato per un mese un bravissimo e disponibilissimo medico di base, in un comune della Brianza. Una mattina per scrupolo decisi di contare il numero di visite. Dalle 7.30 del mattino alle 12.30 visitammo (se così si può dire) la bellezza di 67 pazienti.
Il mio collega si prodigava generosamente ad ascoltare tutti, aiutato da un efficiente software che gli ricordava i farmaci in uso a ciascuno. Ma il tempo era tiranno e tra un certificato, un cappotto da togliere, due parole di minima cortesia. Il tempo per la visita era virtualmente assente. Chiedere ad una tale figura di assumersi il coordinamento delle cure è davvero improponibile.
E che dire di un sistema in cui se chiedi una TAC o una risonanza ti fissano l’appuntamento ad un anno dopo quando, se sussiste il problema oncologico per il quale l’esame è richiesto, probabilmente sarai già morto?
Trovi l’articolo completo del dott Luca Speciani sul numero 127 de L’altra medicina.