Questa domanda è stata posta al nostro direttore da Danila, da una nostra lettrice che soffre di diabete di tipo 2 e che ha avuto un carcinoma tiroideo infiltrante recidivante e non è ancora fuori pericolo, come detto dall’endocrinologa che la segue.
A Danila sono stati prescritti il Trulicity e lo Slowmet, ma è preoccupata per i loro effetti collaterali.
Risponde il direttore, dott. Luca Speciani
“Il problema della medicina di oggi (aggravatosi durante la pandemia Covid) è che non si lavora mai sulle cause delle patologie per rimuoverle, ma ci si limita a sopprimere i sintomi con farmaci. Tali farmaci, sempre, hanno effetti collaterali indesiderati. È il caso dei due da lei citati.
Il Trulicity è un agonista del GLP-1 (glucagon like peptide 1), che è un “sottrattore” di glucosio dal sangue quando questo permane più a lungo nell’intestino. Il GLP-1 stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone da parte del pancreas. Il suo rilascio avviene dopo il pasto, entrando quindi in azione solamente quando la glicemia sale per effetto dei carboidrati introdotti col cibo. Per questo motivo non causa ipoglicemia.
Tutti sappiamo che gli zuccheri sono assorbiti nell’intestino tenue, per tutta la sua lunghezza. Il fatto che proprio alla fine di questo tragitto siano presenti le cellule L secretrici di GLP-1 significa che lo scopo di quelle cellule è di attivarsi in presenza di buone quantità di zuccheri anche in quella sede. Il che può verificarsi solo quando le quantità di zuccheri siano consistenti.
La breve emivita della molecola, inoltre, le permette un’azione rapida e incisiva nei confronti di uno specifico momento di abbuffata o di “superamento” della normale soglia di gestione della glicemia.
È chiaro dunque che il GLP-1 interviene specificamente nei momenti di eccesso zuccherino a livello intestinale, lavorando per proteggere l’organismo da quell’eccesso attraverso aumento della secrezione di insulina, rallentamento dello svuotamento gastrico (“Aspetta! Ho già l’intestino pieno di nutrienti!”) e infine inducendo sazietà (“C’è già troppo cibo! Basta mangiare!”).
Il GLP-1 è dunque una molecola deputata alla segnalazione del “troppo”. Un troppo che, ahimé, con la squilibrata alimentazione odierna, continuiamo a mettere in contatto con i delicati meccanismi di segnale interni del nostro organismo, che presto si squilibrano provocando ingrassamento o malattia.
La scoperta delle funzioni del GLP-1 ha scatenato l’industria farmaceutica alla caccia di nuove molecole in grado di interagire con questa sostanza. Sono così stati immessi in commercio principi attivi volti ad imitare l’azione del GLP-1 per un tempo più prolungato, ma si è ben presto scoperto che queste terapie potrebbero essere collegate all’insorgenza di cancro al pancreas e di altre patologie gravi. A dirlo è il British Medical Journal in un’inchiesta che ha scatenato una bufera nel mondo sanitario. I dati dimostrerebbero inoltre (come sempre) come effetti collaterali importanti potrebbero essere stati tenuti nascosti e quindi non siano stati considerati in fase di approvazione dei farmaci stessi da parte delle autorità regolatorie. BMJ ha scoperto dati mai pubblicati, che sembrano dimostrare “effetti collaterali infiammatori o proliferativi sul pancreas”.
Stiamo dunque parlando di una classe di farmaci altamente pericolosi (per il cuore, l’intestino e il pancreas) che ultimamente sono stati perfino proposti e commercializzati come panacea per il controllo dell’obesità.
Può esistere una via naturale per mantenere alta l’azione del GLP-1? Una via per farlo funzionare meglio c’è: consumare meno zuccheri semplici, e abbinare i nostri carboidrati sempre a grassi e proteine, così da avere un rilascio gastrico lento, lasciando poi operare il GLP-1 solo nel momento in cui, per qualche inevitabile motivo, avremo esagerato senza rendercene conto. GLP-1 è solo uno dei tanti sistemi “tampone” del nostro meraviglioso organismo. Rispettarlo potrebbe essere una buona idea.
Discorso simile si potrebbe fare sulla Metformina (Slowmet). Il suo effetto è quello di ridurre la gluconeogenesi, cioè la produzione di glucosio a partire da altri substrati.
I più comuni effetti collaterali della metformina sono di natura gastrointestinale: nausea, vomito, anoressia, diarrea, dolore addominale, sonnolenza. Sono generalmente dose dipendenti (cioè compaiono più frequentemente in persone che assumono dosaggi alti). Spesso si ha diarrea persistente.
Vi sono tuttavia anche sintomi cardiovascolari come ipotensione o extrasistoli ventricolari. Vi può essere inoltre insufficienza renale acuta.
L’uso cronico della metformina può limitare l’assorbimento di vitamina B12. Talvolta si può sviluppare uno stato di acidosi lattica (grave). Porta, in alcuni casi, notevoli disturbi del visus.
Perché così tanti effetti collaterali, tra cui la famosa lattacidosi fatale, che ha provocato il ritiro dal mercato della fenformina (molecola sorella della metformina)?
Il motivo è nella specifica modalità d’azione delle biguanidi, che ricalca quella del rotenone, un insetticida.
In pratica è come se si “soffocassero” le cellule del fegato responsabili della gluconeogenesi (la formazione di glucosio dal fegato per innalzare la glicemia) per impedire loro di svolgere il loro mestiere.
Pare evidente quindi che la componente utile dell’azione della metformina sia legata alla specificità d’azione sulle cellule epatiche di un composto velenoso per quelle stesse cellule. Il che ci fa pensare da un lato che il blocco della fosforilazione ossidativa sia esteso anche ad altre cellule (renali, cardiache, muscolari) seppur in misura minore. Dall’altro che comunque venga impedito alle cellule epatiche di svolgere anche altre preziose funzioni per le quali sono deputate.
Trovi la risposta completa, nella sezione lettere, sul numero 122 de L’altra medicina.