Il pane industriale, purtroppo, è prodotto con l’aiuto di “prodigiosi” mix di sostanze, chiamate in gergo “miglioratori”.
Il consumatore è spesso ignaro dell’esistenza di queste sostanze chiamate “miglioratori”, aggiunte al pane dai panifici industriali, anche perché per molte di queste sostanze (eccetto quelle che sono considerate allergeni) non vi è nessun obbligo di dichiararle in etichetta nella lista ingredienti. Per la precisione, se acquistiamo pane già pronto (cotto), non ritroveremo mai nella lista l’elenco dei “miglioratori”. Il discorso cambia se acquistiamo un pacco di farina per fare il pane o la pizza: in quel caso esiste l’obbligo di indicare in etichetta l’aggiunta di queste sostanze. E perché mai i miglioratori adoperati nella preparazione del pane non dovrebbero essere dichiarati fra gli ingredienti? È presto detto: perché tali sostanze appartengono alla vasta e non ben precisata famiglia di additivi alimentari chiamati “coadiuvanti tecnologici”.
Questi, non sempre ma spesso, godono di uno status strabiliante ma a mio avviso molto discutibile: possono non essere indicati in etichetta.
Questi coadiuvanti della lavorazione derivano da sostanze come la soia, il frumento e il pancreas di suini e sono usati per favorire un impasto soffice, aumentare la capacità di magazzino, rafforzare il sapore e permettere ai produttori di aggiungere più acqua oltre a usare farine di qualità relativamente inferiore, dal momento che spesso il sapore è determinato in parte dal miglioratore. Inoltre, fatto non da poco, velocizzano la lievitazione (facendo risparmiare tempo, quindi determinando una maggiore produzione e perciò guadagno).
Oggi molti panettieri li usano per motivi commerciali e di profitto, in quanto permettono di ottenere crosta e mollica sempre uguali e della stessa consistenza, garantendo la tenuta degli impasti a eventuali e impreviste variazioni di umidità e temperatura che, altrimenti per il panettiere, potrebbero significare la perdita dell’impasto con conseguente danno economico. Quando il pane era fatto in modo tradizionale, impastato e cotto a distanza di poche ore, non c’era necessità di stabilizzare gli impasti, ma oggi ci sono anche gli impasti che viaggiano da uno stabilimento all’altro e addirittura da una nazione all’altra, prima di essere trasformati e subire la cottura definitiva (esemplare il caso del pane precotto e surgelato che si vende in vari discount e in molti supermercati e centri commerciali).
Come già accennato l’utilizzo dei miglioratori nasce per velocizzare il processo produttivo, standardizzare il prodotto e soprattutto migliorare il pane realizzato con farine di scarsa qualità. Le farine scadenti utilizzate da gran parte dei panificatori italiani sono farine a basso costo contenenti varietà povere di glutine e provenienti dall’estero, dove in alcuni paesi le coltivazioni di grano avvengono con l’utilizzo di pesticidi oltre il limite consentito dalla legge e addirittura con l’utilizzo di alcuni pesticidi vietati.
Se acquistiamo il pane, meglio andare alla ricerca di prodotti di qualità inoppugnabile e che godono di una certificazione che esclude l’uso di miglioratori, come per esempio il Pane di Matera IGP o il Pane di Altamura DOP. Per fortuna, in Italia ci sono ancora forni artigianali che preparano ogni giorno pane di grande qualità, che possiamo poi ritrovare in vendita ogni mattina anche presso la grande distribuzione. Ma serve conoscere a quale prodotto puntare, selezionando quelli buoni in mezzo ai tanti scadenti.
Trovi l’articolo completo di Gianpaolo Usai sul numero 120 de L’altra medicina.