Con l’età il problema prostata inizia a farsi sentire. C’è una prevenzione naturale che è fatta di vita sana, di dieta
antinfiammatoria e di attività sessuale regolare. Ma c’è anche un’errata interpretazione medicalizzata che porta alla soppressione farmacologica dei sintomi e, spesso, ad operazioni chirurgiche che potevano essere evitate. A noi scegliere l’una o l’altra.
Articolo tratto dal N° 145 – L’Altra Medicina
DUBBI DIAGNOSTICI
Quando noi maschietti iniziamo ad avere una certa età, ci si pone il problema della prostata. Questa ghiandola, così importante
per le sue secrezioni che accompagnano lo sperma aiutandolo nel proprio compito riproduttivo, si disattiva gradualmente con
il passare degli anni, attraversando un lento processo di degenerazione che – seppur molto lento – può portare con una certa facilità allo sviluppo di cellule cancerose. Il problema è che con il passare degli anni questo organo perde una parte della sua importanza e funzionalità, e poiché il corpo tende ad economizzare su ciò che gli serve meno, i suoi tessuti tendono naturalmente a degenerare, presentando tipi cellulari che possono facilmente essere giudicati tumorali se solo presentano nuclei leggermente ingrossati. Questo può creare dei problemi interpretativi a livello di diagnosi, nel momento in cui si deve stabilire se la biopsia tissutale evidenzi un carcinoma oppure
una semplice ipertrofia. Un dubbio che può generare operazioni e trattamenti inutili, ad alto rischio di complicanze post operatorie.
PSA ALTO? NIENTE ALLARMISMI
Richard Ablin, l’inventore del test del PSA, lo ha scritto con estrema chiarezza nel suo libro intitolato “Il grande inganno della prostata”. Il PSA, scrive Ablin, non è una proteina del cancro alla
prostata. È semplicemente una proteina prostatica! Il che significa che se ho un PSA alto posso avere una prostata più grande del normale, ma non necessariamente un cancro prostatico.
Il PSA può crescere per molti motivi fisiologici. Per esempio dopo un’eiaculazione. Ma anche nei ciclisti o nei centauri, soprattutto se sulle strade percorse vi siano molte buche. Qualche anno fa un caro amico odontoiatra mi aveva contattato terrorizzato per un PSA alquanto elevato. Mi aveva chiesto preoccupato se fosse il caso di fare la biopsia. Il suo curante gli aveva naturalmente detto di
farla. “Sa com’è… per non saper né leggere né scrivere, ci togliamo il pensiero.” Ecco, togliersi il pensiero in questo caso non è
pratica raccomandabile. I numeri ci dicono che, grosso modo, la percentuale di biopsie positive, indipendentemente dalla reale condizione, si aggira intorno all’età del paziente.
In altre parole: se ho 60 anni avrò il 60% di probabilità di
una biopsia positiva, se ne ho 80, l’80%. Ma visto che le diagnosi non possono mai essere del tutto precise, a causa dell’esame dei nuclei che presenta molti falsi positivi, non possiamo neppure essere certi che tali percentuali siano affidabili. Ancora Ablin suggerisce di fare una biopsia solo se oltre al PSA elevato, vi sia anche corrispondenza con sintomi da ipertrofia prostatica (difficoltà di minzione, dolore, percezione di massa
all’esplorazione manuale). In assenza di sintomi la sconsiglia.
Dunque, in assonanza con i principi di Ablin, sconsigliai la biopsia. Gli suggerii invece, di sospendere per un mese i viaggi in motorino per le strade di Roma, che potevano generargli
– causa frequenti buche – un artificioso innalzamento del PSA. Al lavoro ci sarebbe andato con i mezzi. Neanche a dirlo: un mese dopo il PSA si era perfettamente normalizzato. Prima di fare un’inutile biopsia, dunque, serve respirare a fondo e contare fino a dieci.
LA SCALA DI GLEASON
Gli anatomo patologi si difendono dai dubbi diagnostici
assegnando un valore al tumore secondo la scala di Gleason, che assegna punteggi da 2 a 6 per tumori a crescita lenta, 7 per valori intermedi, da 8 a 10 per tumori più aggressivi. La realtà è tuttavia che non è possibile diagnosticare con certezza un tumore prostatico, in quanto vi sono decine di possibili variazioni tra cellula e cellula incapaci di indicare se trattasi veramente
di cancro o meno. E con un sistema sanitario allo sbando, come quello italiano, dare margine decisionale alle aziende sanitarie locali significa operare, operare, operare. Sempre. Perché ogni
operazione effettuata genera un fatturato fisso e poche complicazioni. Così che molti urologi sono spinti, nel dubbio
(non sia mai che poi qualche paziente voglia denunciare un
cancro prostatico non tempestivamente operato), a forzare l’operazione anche quando non ce ne sia stretto bisogno.
OPERARE SEMPRE?
Ma operare sempre è davvero utile perché “così non ci pensiamo
più”? Non è che un’operazione inutile o evitabile possa creare
disagi superiori rispetto al rischio di lasciare le cose come stanno?
La realtà sta proprio in questi termini: le statistiche ci dicono infatti che un’operazione alla prostata porta con sé un rischio di impotenza del 50% e (contestualmente) un rischio altrettanto
alto di incontinenza. Che significa che se la statistica non sbaglia, una delle due ce la dobbiamo aspettare. Siamo dunque certi, quando l’urologo ci dice “dai, operiamo, così ci togliamo il
pensiero”, di essere psicologicamente pronti ad appendere il preservativo al chiodo o a girare per il resto della nostra vita con il pannolone? Perché se una siffatta operazione ci salva la vita,
bene, vale sicuramente il rischio. Se però è forte il dubbio di sovradiagnosi, e la pressione operatoria è più legata al fatturato ospedaliero che alla nostra salute, forse vale la pena di prendersi un po’ di tempo, riesaminare i dati, ascoltare una seconda
opinione medica e, insomma, fare una riflessione che ci permetta di valutare con adeguata calma tutte le conseguenze che ci riguardano.
VIGILE ATTESA? GIAMMAI!
Il problema è poi che quando, dopo la biopsia, vedi il foglio dell’esito che recita “carcinoma della prostata”, hai voglia a parlare di cautela e di attesa: subentra invece la paura, che fa il gioco di chi vuole intervenire a tutti i costi. Chi resterebbe in vigile attesa con in mano un foglio che dice “carcinoma”? Tuttavia se la diagnosi
avviene in relazione alla dimensione dei nuclei cellulari nei frustoli casualmente prelevati dall’ago bioptico, si può parlare di probabilità di carcinoma, ma mai di diagnosi certa. Lo stesso Ablin, dopo una lunga discussione sui pro e contro dell’operazione, dice con chiarezza che è bene effettuare la biopsia,
e poi eventualmente operare, se e solo se vi sia anche concomitanza di sintomi (difficoltà a urinare, alta frequenza di
risvegli notturni, masse ingrandite alla palpazione ecc.). In assenza di questi, suggerisce Ablin, meglio temporeggiare. E rimandare il
rischio di impotenza e di incontinenza per qualche anno ancora.
LEPRI E TARTARUGHE
Le cellule a nucleo ingrandito, infatti, possono essere “lepri” (raramente) o “tartarughe” (molto più frequentemente). Le prime possono crescere e diffondersi con rapidità. Le seconde, al contrario, crescono così lentamente da far sì che il paziente, prima che il loro sviluppo possa comportare alcun rischio, muoia con tutta probabilità prima per altre cause. Un’indagine condotta in Germania diversi anni fa, che aveva esaminato lo stato autoptico della prostata di persone over65 decedute per mille motivi (dall’infarto all’incidente stradale), aveva rilevato nella quasi totalità dei cadaveri esaminati una presenza rilevabile di carcinoma prostatico. Silente. Se facessimo dunque una biopsia a tappeto su
tutti gli over65 di una nazione, quanti carcinomi prostatici diagnosticheremmo? Un mare, probabilmente. Ma operarli tutti sarebbe un grave errore sanitario, che creerebbe un gran
numero di effetti collaterali, su persone che avrebbero potuto tranquillamente rimandare l’operazione. Oggi a nessuno verrebbe in mente di fare una biopsia a tappeto su tutti gli anziani, e tuttavia si spingono a fare biopsie molti pazienti che non hanno alcun sintomo ma presentano magari un PSA un po’ mosso.
Non avendo questi pazienti alcun bisogno dell’intervento, è chiaro che genereranno statistica positiva, di guarigione dal “carcinoma”
(anche se magari poi dovranno vedersela con impotenza e incontinenza), ma avranno generato del gradito fatturato ospedaliero, e (se la matematica non è un’opinione) avranno ridotta la mortalità percentuale per tumore prostatico tra i diagnosticati (mentre quella sulla popolazione totale rimane
invece, ovviamente, invariata: rilegga due volte chi non avesse capito). In altre parole: se diamo per cancro ciò che cancro
non è, diluiamo i decessi (che restano invariati) su un numero
maggiore di diagnosi, e per miracolo i “progressi della medicina”
avranno ridotto la mortalità percentuale del carcinoma prostatico.
In sintesi: il gioco delle tre carte.
PREVENIRE PRIMA DI CURARE
Alla fine avremo il paradosso del vecchietto che scriverà grato al suo quotidiano di riferimento che “ringrazia tutto il personale dell’ospedale Santa Maria Teresa del Bambin Gesù” per avergli
“salvato la vita” intervenendo tempestivamente su un carcinoma prostatico asintomatico di cui nessuno si era precedentemente accorto. Per forza non se n’era accorto nessuno: non c’era!
Ma allora cosa dobbiamo e possiamo fare per evitare di finire dentro a questo tritacarne sanitario? Prima di tutto il medico di segnale non richiede esami inutili. Non stiamo qui parlando
della biopsia, ma dello stesso PSA. Molti miei pazienti arrivano in studio con il panel degli esami offerti dalla loro assicurazione
sanitaria, tra cui (se maschi) il PSA. Sconsiglio vivamente l’esame del PSA fatto senza motivo. Quando quel PSA è mosso, o perché il paziente ci ha dato dentro con la moglie o con PornHub il
giorno prima dell’esame, o perché ha fatto un’uscita in bici sullo Stelvio, non richiede mai una biopsia quanto, piuttosto, una vigile attesa con ripetizione dell’esame in condizioni più stabili.
E per aiutare una prostata a lavorare meglio cosa è opportuno fare? Senza dubbio una regolare attività sessuale (autoerotismo
incluso) che comporti eiaculazione protegge la salute di tutti gli organi coinvolti e ne prolunga la vita. La massima attenzione, però, va messa da un punto di vista alimentare: un’ipertrofia prostatica, che è il primo segnale d’allarme verso un possibile carcinoma, è sempre figlia di una situazione infiammatoria
cronica prolungata. Nei confronti della quale molto si può fare mangiando bene. Chi segue già DietaGIFT sa che il consumo di zuccheri, di farine raffinate e di alimenti industriali ultra processati infiamma e indebolisce ogni organo. La dieta da seguire
dunque dovrà prevedere un buon controllo insulinico. Vi sono poi delle intolleranze specifiche, che controlliamo con il questionario QuASA, che possono infiammare l’organismo (latticini, glutine,
lieviti, nichel…), e che vanno tenute sotto controllo con un’adeguata dieta di rotazione. Infine come integrazione, mentre i medici ordinari propongono solo gli alfa-litici (attenzione
che abbassano anche la pressione!) e/o gli inibitori del testosterone (Finasteride e simili) il medico di segnale utilizza il mirtillo
rosso, la cui attività disinfiammante e disinfettante delle vie urinarie e genitali è nota da tempo immemore.
La vera soluzione per i problemi prostatici passa dunque dalla prevenzione primaria: una vita sana, un’alimentazione antinfiammatoria, un’integrazione mirata e una regolare attività
sessuale possono agire da veri farmaci, al posto di quelli che ci vengono spacciati come tali e i cui effetti collaterali possono portare a disfunzioni erettili e invecchiamento precoce. Ancora una volta la via naturale sembra essere di gran lunga la migliore, in questa come in molte altre patologie.
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Luca Speciani
Medico Chirurgo
Presidente AMPAS (Medici di segnale)
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Luca Speciani
Medico Chirurgo
Presidente AMPAS (Medici di segnale)