Gli inibitori della pompa protonica, sebbene efficaci a breve termine, comportano rischi significativi se usati a lungo termine, tra cui malattie renali, demenza e malassorbimento di nutrienti essenziali.
di GABRIELE PRINZI
REFLUSSO GASTROESOFAGEO
La malattia da reflusso gastroesofageo è forse il disturbo più comune nella pratica medica generale e colpisce la maggior parte dei paesi e delle loro popolazioni.
Assurto al ruolo di “malattia” multifattoriale, è causata da molteplici meccanismi, il principale dei quali è il rilassamento transitorio o la bassa pressione dello sfintere esofageo inferiore, o cardias. Il malfunzionamento dello sfintere che dovrebbe (condizionale d’obbligo) separare stomaco ed esofago, espone quest’ultimo al contenuto gastrico (acido) o intestinale; quel reflusso biliare dimenticato che causa i tumori gastrici ed esofagei. I disturbi motori esofagei (in particolare la motilità inefficace) ne sono la causa, altro che helicobacter! Tra i sintomi più tipici che vi si accompagnano spicca il bruciore di stomaco (o pirosi): un dolore urente alla bocca dello stomaco o dietro lo sterno, che può associarsi al rigurgito. Talvolta, il contenuto dello stomaco può raggiungere i polmoni, le corde vocali, la bocca, la lingua e i denti (sintomi extra-esofagei). La vera e reale incidenza del reflusso rimane ignota, perché la diagnosi viene posta sulla base dei sintomi riferiti dal paziente spesso in assenza di una diagnosi strumentale (endoscopia) che dovrebbe mostrare cambiamenti strutturali dell’esofago. E solamente una porzione dei pazienti (da un terzo alla metà) che ha questi sintomi mostra questa alterazione, mentre fino al 70% dei pazienti presentano un esofago o uno stomaco privo di lesioni organiche all’endoscopia.
REFLUSSO E GASTRITE
Gli Italiani sono convinti che il reflusso debba essere causato o accompagnato da gastrite, quando invece ci sono prove consistenti del contrario, perché certi tipi di gastrite sono protettive nei confronti del reflusso. Com’è il caso della gastrite atrofica, dove le cellule dello stomaco non sono più capaci di produrre acido, e diminuisce (fino ad azzerarsi) il rischio che l’acido gastrico possa lasciare lo stomaco e generare sintomi tipici. La gastrite atrofica è quella più direttamente collegata alla presenza e/o infezione da helicobacter
pylori, che viene cercato ed ucciso per aderenza ad un sistema di cure farmacologiche sintomo-centriche piuttosto che per il tuo bene. Curioso no? Non sono poche le pubblicazioni scientifiche in cui è stata dimostrata una correlazione inversa tra il reflusso e la presenza dell’Helicobacter pylori: già in uno studio giapponese del 1999 la maggior parte dei casi di esofagite da reflusso si verificava in pazienti privi di helicobacter. È stato dimostrato che l’infezione da helicobacter pylori riduce il rischio e la gravità della MRGE in diversi studi epidemiologici e revisioni sistematiche. Inoltre, il grado dell’esofagite da reflusso e i sintomi della malattia da reflusso risultano aggravati dopo la terapia di eradicazione dell’helicobacter pylori.
GASTROPROTETTORI, COSA SONO?
Ma che tu abbia un helicobacter o no, una lesione gastrica o esofagea oppure una gastroscopia perfetta, esiste un farmaco per tutte le stagioni, per ogni momento ed ogni occasione: il gastro – o castro – protettore. Farmaci introdotti per la prima volta alla fine degli anni ’80 (il nome vero è inibitore della pompa protonica, o IPP) e definitivamente più efficaci dei loro predecessori, gli “antistaminici” ranitidina, famotidina e cimetidina nell’abbassare la produzione acido-gastrica. Sono rapidi, sono efficaci, ed erano considerati avere un’apparente bassa frequenza di effetti collaterali; il che ha contribuito ad impostare la terapia anti-acida come la conosciamo. Ma il crescente numero di pazienti in terapia cronica con gli inibitori della pompa protonica (IPP) ha generato preoccupazioni crescenti rispetto agli effetti collaterali di farmaci “progettati” per l’uso acuto… per poche settimane… il tempo che ci voleva per guarire le ulcere insomma. Se la sicurezza nell’uso a breve termine è rasserenante, non lo è nell’uso cronico, messo in discussione “recentemente” (si fa per dire) da relazioni scientifiche che mostrano l’associazione tra l’utilizzo cronico e svariate malattie (come la malattia renale cronica, la demenza e le fratture ossee da osteoporosi tra le altre).
Questo segnale d’allarme, scientifico ed internazionale, è legato alla prescrizione inappropriata, a lungo termine, aumentata dalla fine degli anni ’90: caute stime considerano che solo la metà dei pazienti in terapia con gli IPP ha una prescrizione
appropriata; in altri report, l’uso inappropriato sembra raggiungere l’80% sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale e l’80% di prescrizioni inappropriate non è poco, se ti fermi a rifletterci, e consideri gli effetti collaterali di cui leggerai nel prossimo paragrafo.
Complice il fatto che questi farmaci vengano erroneamente creduti privi di qualsiasi effetto
collaterale e sono spesso prescritti a vita, (cioè finché non sopraggiunga la morte) sono i pazienti stessi che aumentano la dose – o prolungano la terapia – autonomamente.
MA SONO COSÌ INNOCUI QUESTI FARMACI?
L’associazione tra l’assenza di acido nello stomaco e infezioni, anche mortali, è nota da quasi un secolo, almeno dal 1925; la connessione tra i castroprotettori e le infezioni – in particolare da Clostridium difficile e polmonite – è stata oggetto di numerosi studi.
L’alterazione della microflora gastrointestinale (il cosiddetto microbiota) da inibitore
della pompa protonica (IPP) produce un ambiente favorevole allo sviluppo di questo tipo
di infezioni.
Almeno uno studio ha suggerito che l’uso a lungo termine di PPI aumenta il rischio
di demenza, mentre una recente pubblicazione del 20024 che ha studiato 2 milioni di cittadini danesi per quasi vent’anni (nel periodo 2000-2018) e ha correlato l’uso di PPI ad un aumento del tasso di demenza indipendentemente dal momento di esordio del trattamento. I tassi di demenza aumentavano con l’età più giovane alla diagnosi.
La correlazione con malattie cerebrali non dovrebbe nemmeno stupire: i castroprotettori passano attraverso la barriera emato-encefalica e il loro uso a lungo termine è stato associato a emicrania, neuropatie periferiche, disturbi neuronali e sensoriali (udito, vista e memoria). Essi inibiscono selettivamente l’enzima responsabile della sintesi di un neurotrasmettitore (acetilcolina) quindi la segnalazione neuronale dentro il cervello e dal cervello al resto del corpo.
Per dovere di onestà, ma soprattutto per comprendere le vere ragioni per cui gli evergreen inibitori di pompa protonica sono capaci di fare danni immensi, profondi, cronici e non visti…non ci si può esimere dal segnalare anche il malassorbimento di micronutrienti quali magnesio, calcio, potassio, ferro, vitamine del gruppo B e vitamina D.
Articolo completo nel N° 136 – giugno 2024 L’Altra Medicina