Pensare alla menopausa come ad un periodo di cancellazione emotiva, erotica, vitale, è profondamente errato, ed è alla base di molti dei sintomi che l’adeguamento ormonale
regala. È invece il momento di valorizzare tutte le peculiarità dell’età (esperienza, conoscenza, maturità, profondità emotiva) che ci erano sconosciute a trent’anni.
di MARCELLO MONSELLATO
Patrizia, 51 anni, in menopausa da 3 anni, depressa, blasè, disincantata, rancorosa verso la vita che non le aveva permesso di fare ciò che desiderava, con molti rimpianti per le
occasioni perse per dare un senso alla sua esistenza, fortemente autocritica, congelata da una età sempre più sterile che avanzava, desertificata dall’idea che oramai era troppo tardi, convinta che, “dopo i 40 anni suonati”, la “vecchiaia”, e con essa la morte della libido, fosse inarrestabile. Terapie di ogni genere: estetiche (lifting, mesoterapie, massoterapie), ormonali (terapia sostitutiva), psicoanalitiche (3 anni di sedute settimanali).
Malgrado tutto ciò si sentiva senza più passione, creatività, in un vicolo cieco. Noi ci rifiutiamo sempre, sin dalla nascita, momento in cui ci separiamo dalla realtà conosciuta del grembo materno per inoltrarci nel nuovo, fino alla morte, momento in cui lasciamo il conosciuto della realtà materiale per entrare completamente nella dimensione energetica. Ogni giorno il rifiuto ci accompagna costantemente, permettendoci di “essere” come veramente siamo e non come pensiamo di essere. Ogni mossa, ogni decisione, ogni comportamento è determinato dal rifiuto. Purtroppo noi siamo inconsapevoli di chi effettivamente siamo (una realtà tri-energetica incardinata in un corpo), inconsapevoli di essere nati già perfetti con tutti i comportamenti positivi e negativi, inconsapevoli che la sofferenza che proviamo è solo la manifestazione del rifiuto e quindi l’espressione del movimento della Vita, e in cotal modo la persona si avverte come emarginata, scissa dalla propria sorgente interiore, atomizzata da un universo che percepisce ostile, ci separiamo così dalla nostra intimità, e, di conseguenza, dagli altri, nostri simili.
Essere consapevoli che il rifiuto è lo starter della nostra vita e quindi il marchio dell’essere umano in quanto nasce e muore con noi, significa cambiare finalmente il punto di vista verso la Vita, dove il gioco stesso dei poli energetici opposti negativo e positivo diventa, insieme alle emozioni, fondamentale per donare alla vita stessa quel movimento
continuo senza fine. Dopo 6 mesi di terapia omeosinergetica mi scrive: “Gentilissimo dottore la vorrei ringraziare per quello che ha fatto per me. Grazie alla sua sensibilità
e alla sua pazienza ho compreso che il mio problema non era la menopausa né tantomeno l’età matura. Il voler trovare forzatamente un capro espiatorio mi aveva bloccato in uno schema mentale rigido e stagnante. La passione, l’erotismo, il contatto con la natura, la creatività sono tesori che dipendono dal rapporto che instauro con me stessa e non dai miei cinquant’anni.” È l’attivazione del nuovo punto di vista a permettere la trasformazione: punto di vista dove non ci sono colpevoli o alibi ma solo l’integrazione di tutto ciò che siamo. “Ho sempre cercato le soluzioni fuori di me, ho considerato preziose solo le cose esterne. Però lei mi ha spiegato che gli espedienti esteriori volano via come le foglie, il tesoro di cui lei mi ha parlato è dentro di me e dipende dalla mia capacità di
cambiare lo sguardo, di darmi una nuova visione: la vera giovinezza, la vera terapia “antiage” è in quella sorgente inesauribile di energia che abita le zone più profonde del mio cervello, che è indovata nelle stesse aree cerebrali dove abitano le emozioni, le passioni, gli affetti, il sesso, la nostra originalità.”
Non metto in discussione l’attività fisica, l’attenzione alla dieta e tutti quei “rimedi”
di eterna giovinezza a cui siamo stati abituati dai media. Al contrario, ritengo impagabile aiutare il corpo a mantenersi giovane. Ma sono sempre stato affascinato dall’enigma che circonda la guarigione, come se la nostra vitalità possedesse una propria intelligenza, in grado di ottenere risultati attraverso vie ctonie. Esiste una fonte illimitata di energia
che risiede nelle regioni più intime del cervello e ci fa ringiovanire continuamente, anche se non ce ne rendiamo conto. Questo nucleo energetico genera costantemente cellule staminali cerebrali, attiva e modula la produzione degli ormoni essenziali per la rigenerazione di tutti i tessuti, pelle inclusa. È fondamentale sapere che questa fonte
perpetua si trova nelle stesse aree cerebrali dove risiedono le emozioni, i sentimenti, le immagini e i sogni. È a questa sorgente che si abbeverano le energie infinite e sempiterne, che sono i pilastri del rinnovamento e della rinascita. Con il tempo, ogni medico con buon senso comprende che non è lui il vero artefice del successo terapeutico: piuttosto, è un semplice stimolatore di energie latomiche che risiedono in quel “principio originario che dorme in ogni essere umano”.
In quest’ottica, non miglioriamo perché abbiamo ingerito il farmaco giusto, ma perché la nostra “intelligenza vitale” ha ridestato quella forza procreatrice che trova la soluzione nella malattia. In ciascuno di noi esiste la possibilità di guarire, intesa come la capacità di ritrovare la nostra strada, di riconoscerci per chi siamo, come siamo e cosa siamo. Se da un lato, ammalandoci, manifestiamo un disagio che va oltre la lesione biologica, allo stesso modo la guarigione richiede cambiamento, trasformazione, palingenesi, e l’adozione di una nuova prospettiva. Uno sguardo indirizzato al recupero delle parti di noi che consciamente, ma più spesso inconsciamente, rifiutiamo e che noi, per risonanza, attiriamo negli altri e nel nostro corpo per infine conoscerci. Da questo punto di vista, dovremmo parlare sempre di “auto-guarigione”, dal momento che siamo noi stessi a permetterci, con i tempi e le modalità che ci sono più congeniali, di trovare le chiavi di lettura più adeguate. È acclarato che l’uomo abbia in sé questa capacità, come dimostrano le guarigioni inspiegabili di cui la storia della medicina è piena: il problema è quindi
capire come riuscire a imparare dei nuovi codici interpretativi e metterli in pratica.
“Che mondo mi ha fatto scoprire! Mi ha fatto rivalutare il mio autunno, mi ha fatto apprezzare le trasformazioni, i cambiamenti che ho atteso per anni e che solo l’età matura può svelare, mi ha fatto comprendere che sono in una nuova gravidanza di me stessa
tramite la metamorfosi del mio sguardo e del mio schema mentale, indirizzando l’occhio e la visione dentro di me, nella mia interiorità, sollevandomi dalla routine e dai cliché del pensiero comune, orizzontale, uniformato.”
La compresenza di due poli opposti non deve essere considerata come uno scontro, ma come la coesistenza di due forze che ci vogliono mostrare due aspetti che ci riguardano,
due modi di essere, due stili, due energie. Ecco perché dobbiamo viverli entrambi, senza
fare le differenze, perché siamo sempre noi, sia l’amante che il coniuge, sia il sicuro che l’insicuro, sia il paziente che l’impaziente: e noi, consapevoli di questi due “personaggi”, di questi due campi energetici, ricorriamo alle loro conoscenze, alle loro energie. Jung ci aveva ammonito: “La gente soffre soprattutto a causa di una visione troppo miope, di un orizzonte troppo limitato. Le persone non pensano affatto alle altre possibilità, che pure
esistono.” Dobbiamo solo fare loro spazio, permettere ai due poli di manifestarsi: privilegiare uno e rifiutare l’altro è come eliminare una parte di noi stessi. Rinchiusi in uno spazio ristretto si annaspa, è come essere sepolti vivi. Arrendersi ai disagi del polo che spesso abbiamo rifiutato non vuol dire cercare di cambiare le cose, ma essere propensi a
dare asilo a energie sconosciute come l’insicurezza, l’ipercontrollo, la tristezza, l’impotenza, che provengono dall’invisibile e che possiamo riconoscere grazie all’altro che incontriamo.
“Grazie dottore, finalmente ora posso dire: “Imparo da me stessa”.
Le ho risposto che ero io a ringraziarla per avermi permesso di parlare a me grazie a lei, di riconoscere che per vedere la perla dell’ostrica devo distogliere lo sguardo dalle cose comuni, dalle comuni aspettative e valorizzare l’altra metà del cielo, gli altri miei poli che giacciono nascosti nelle aree più profonde del mio cervello e che aspettano febbrilmente di uscire allo scoperto, di avere il diritto di essere consapevolizzati e poi agiti. Occorre
che l’uomo abbia fiducia in se stesso, occorre che egli confidi sulla forza della natura umana. In essa si trovano nascosti molti farmaci e medicine. Fruiamo di ricchezze che scaturiscono dal rapporto che istituiamo con noi stessi. Anch’io ho una certa età e il pomeriggio della mia vita conosce cose che il mattino nemmeno sospettava, sono conscio che nel mio autunno il meglio può giungere da un istante all’altro, che la maturità è l’epoca più importante della vita perché, come il frutto matura, può portarmi alla scoperta delle capacità straordinarie del mio cervello, alla vera raccolta e alla consapevolezza che forse tutti i disagi che ho vissuto sono accaduti per ricordarmi che nell’universo non esiste nessun altro come me. La maturità è l’arte di saper aspettare e di accettare le cose come sono, riconoscendone l’utilità, il significato e la perfezione. La maturità è la vera gestazione della saggezza: ora sta per dare i suoi
frutti, sta partorendo i saperi che le intense passioni giovanili celavano alla nostra vista. È un’altra sapienza che si affaccia, un “sapere che fa” e ci regala esperienze che non appartengono al mattino: è ora, solo ora, che possiamo realizzarci, riconoscere l’energia della vita, che dimora da sempre nel nostro cervello limbico e che sgorga da una fonte inarrestabile e inestinguibile, di cui non percepiamo la presenza, cooptati e plagiati dal mondo esterno, come accade quando siamo giovani.
Questa fonte è nutrita dalle passioni, dalle emozioni, dalle immagini, dai sogni: una giovinezza non posticcia, ammuffita, gelificata, quella artificiale dei volti che cercano di durare al di là del tempo, ma quella dei mondi sottili, noetica, euristica, quella della consapevolezza, della perfezione del tutto, dell’unione con gli altri e con se stessi, quella in cui il tempo che dirocca i castelli le ha aggiunto forza. Meno ricordare e più sognare! Non
si tratta di vestirsi come gli adolescenti o rifarsi il viso: quando si hanno più di 60 anni non si tratta di vivere fuori del tempo, ma nel proprio tempo. Andare contro il proprio tempo ci rende vulnerabili ed insicuri, esaurisce le nostre forze, proprio come remare controcorrente. Per molti anni abbiamo disatteso questi poteri, queste risorse, adesso possiamo riconoscerli e farci condurre ed ispirare da loro. Per stare bene, per conoscere la felicità, la salute del nostro mondo interiore, occorre usare i codici dell’anima, gli otto principi universali. Senza di loro siamo perduti. Lasciamoci condurre… solo così vivremo giorni gioiosi. Buona vita!
N° 138 – agosto/settembre 2024 L’Altra Medicina