La diagnosi di osteopenia o osteoporosi si basa sulla MOC, un esame molto discutibile che tende a far rientrare nel gruppo dei malati un gran numero di persone sane. Prima di qualunque intervento, dunque, serve capire se sia necessario, vista anche la pericolosità di
alcuni costosi farmaci purtroppo oggi molto prescritti. L’osso diventa più forte se si mangia bene e se ci si muove all’aria aperta. Tutto il resto è opinabile.
OSTEOPOROSI: COS'E'
L’osteoporosi è una malattia caratterizzata dalla riduzione della
densità ossea, che rende le ossa più fragili e vulnerabili alle fratture.
Colpisce principalmente le persone anziane, in particolare le donne dopo la menopausa, ma può riguardare anche gli uomini. La condizione si sviluppa lentamente nel tempo, spesso senza sintomi evidenti fino a quando non si verifica una frattura. I fattori di rischio includono età avanzata, genetica, carenza di calcio e vitamina D, inattività fisica e alcune patologie o farmaci. Detto questo, si capisce perché molte persone, in particolare donne in età post menopausale,
siano ragionevolmente preoccupate per la loro possibile fragilità ossea e si rechino dunque, a caccia di informazioni e rassicurazioni, da un
medico ortopedico o dal loro medico di medicina generale.
La richiesta di info sull’argomento porta il medico – talvolta senza alcuna indagine preliminare su abitudini, alimentazione, stile di vita e
quantità di sport praticato – a prescrivere una MOC, la mitica mineralometria ossea computerizzata, alla quale viene demandato il compito di fare chiarezza. E qui iniziano i possibili fraintendimenti.
UN ESAME DUBBIO
Il risultato della MOC infatti, che riguarda solitamente rachide e femore, viene espresso con due diversi punteggi che prendono il nome di T-score e Z-score. Essi servono a valutare la densità minerale ossea (DMO) rispetto a diversi gruppi di riferimento. Il T-score confronta la densità ossea del paziente con quella di un giovane adulto sano dello stesso sesso. Lo Z-score invece confronta la densità ossea del paziente con quella di persone della stessa età, sesso e caratteristiche (es. etnia). È chiaro quindi che – poiché la MOC viene più frequentemente utilizzata da donne over 50, over 60 e over 70 – lo Z-score sia il dato più affidabile per dirci se ci troviamo in una situazione di normalità o di carenza.
Vogliamo indovinare invece quale sia il dato che viene messo in evidenza alla fine di ogni referto? Ovviamente il T-score. Perché?
Talvolta ci sono domande a cui non vorremmo rispondere, ma ci toccherà farlo. Il grafico della MOC è in tre colori: verde, giallo
e rosso. L’area verde, in alto, indica piena salute ossea. L’area gialla, più in basso, indica osteopenia. Quella rossa, più in basso, osteoporosi. I tre colori tuttavia decorrono orizzontali, indicando
osteopenia o osteoporosi in funzione della durezza ossea riscontrata, in modo totalmente indipendente dall’età del soggetto! In altre parole,
un soggetto ottantenne, la cui normalità è uno Z-score di -2,5, si troverà (con quel valore assolutamente normale) ad essere pienamente
nell’area rossa e a trovarsi dunque sul referto una diagnosi di osteoporosi, pur avendo ossa perfettamente sane per la sua età.
Tra l’altro secondo l’OMS un T-score maggiore di -1 indica una densità ossea normale. È già qui qualcosa puzza. Che senso ha dare un valore negativo ad uno stato di normalità? Se andiamo a vedere con un po’ più di attenzione il grafico di una MOC notiamo che oltre
ai tre colori di fondo vi sono delle righe: una sorta di autostrada a due o quattro corsie, che scende verso destra. Quella lì la chiamo con i
miei pazienti “l’autostrada della normalità”, ad indicare che se il puntino (che rappresenta lo stato delle ossa) si trova all’interno di tale “autostrada” possiamo stare sereni perché siamo in un range di densità accettabile per la nostra età, sia essa di trenta o settant’anni. E allora perché continuo a vedere nel mio studio pazienti il cui “puntino” rientra nell’autostrada, con referti di osteopenia o di osteoporosi? Cui prodest tutto ciò? Per quale arcano motivo un esame deve mostrare come malate tante persone assolutamente sane?


TRE RIMEDI
Il motivo è abbastanza semplice, e i lettori di questa rivista sono ormai avvezzi a capire come girano le cose: se tutti sono malati, sarà più facile vendere nuovi farmaci. Che infatti, inevitabilmente, sono poi consigliati o nella MOC stessa o comunque nel foglietto in cui il medico commenta i risultati della MOC. Quali sono questi farmaci? Sostanzialmente sono tre: la vitamina D, il calcio e i famigerati bifosfonati. Proviamo a conoscerli un po’ più da vicino.
VITAMINA D
Sulla vitamina D è stato detto, negli ultimi anni, tutto è il contrario di
tutto. Vi è chi ne prescrive a palate secondo fantasiosi protocolli, chi
ne fa un ragionevole uso e chi infine preferisce non prescriverla richiedendo invece una maggiore esposizione solare. Ogni scelta può avere delle valide motivazioni, tuttavia per chi si trovi in una condizione di osteoporosi (vera) e con valori ematici della vitamina D non eccelsi (per esempio sotto i 30) ritengo che un’integrazione sia importante. Non possiamo dimenticare che, anche se cerchiamo di esporci al sole il più possibile, non viviamo più all’equatore, ci copriamo con abiti in ogni stagione e viviamo molte ore dentro scatole di cemento. Subiamo quindi un mismatch tra ciò che madre natura ha naturalmente previsto per l’essere umano e il mondo in cui viviamo. Poiché l’azione della vitamina D sulle ossa è molto ben documentata, e non vi sono rischi o effetti collaterali preoccupanti per dosi ragionevoli, ritengo che tale integrazione debba essere sempre consigliata.
CALCIO
Per il calcio invece serve un discorso più ampio. Perché se è vero che la costruzione di nuovo osso ha bisogno di calcio, è anche vero prima di tutto che tale apporto dev’essere in forma organica, e in secondo luogo che l’osteogenesi ha come premessa fondamentale che vi sia un adeguato segnale leptinico all’ipotalamo, ovvero – in altre parole – che si mangi abbastanza. Un organismo sottonutrito non può permettersi di avere muscoli da Hulk né ossa durissime. Tenderà al contrario a depotenziare gradualmente entrambe le strutture, che sono infatti modellate da un unico ormone ipofisario, che è il GH (ormone della crescita). L’osso si impoverisce quando l’azione delle cellule costruttrici (osteoblasti) diventa inferiore rispetto a quella delle cellule deputate alla rimozione e al rimodellamento osseo (osteoclasti). Queste cellule specializzate naturalmente non vivono isolate in modo asociale, ma condividono con le altre cellule dell’organismo i segnali generali che l’organismo stesso produce: se c’è poca energia dal cibo l’ipotalamo blocca la costruzione di nuovo osso.
Altrettanto bloccata è la crescita ossea se siamo sedentari. Nessun osso si rafforza se stiamo seduti
sul divano a poltrire. Se dunque fornisco calcio (magari pure in forma minerale poco assorbibile, come molti prodotti sul mercato) senza contemporaneamente fornire i segnali di abbondanza alimentare e di movimento che il corpo richiede, non solo non avrò crescita ossea, ma avrò in più il problema di smaltimento del minerale calcio, che potrà accumularsi come renella o sabbia biliare, o generare rigidità muscolare e arteriosa. Sconsiglio dunque qualunque assunzione di calcio in forma minerale, raccomandando invece di ricercare negli alimenti quelle forme organiche più gradite dal nostro organismo.
BIFOSFONATI
La terza classe di farmaci ordinariamente prescritti per l’osteoporosi è quella dei bifosfonati, di cui gli alendronati fanno parte. Questi farmaci si vendono come la panacea per l’osteoporosi, ma dietro la loro facciata di “salvatori delle ossa”, si nascondono una serie di rischi e problematiche. Possono infatti causare danni ben più gravi di
quanto promettano di risolvere. L’osteonecrosi mandibolare, un effetto collaterale devastante, è solo la punta dell’iceberg. Fratture spontanee, problemi gastrointestinali e danni a lungo termine
alla salute ossea sono solo alcuni dei pericoli che questi farmaci portano con sé. E non parliamo dei rischi a cinque anni, quando il rischio di fratture aumenta anziché diminuire. Poiché sono inibitori degli osteoclasti, che sono macrofagi indispensabili per la ristrutturazione dell’osso, questi farmaci sovvertono la struttura
ossea stessa, e rendono alla fine l’osso più fragile di quanto fosse inizialmente.
È davvero sensato somministrare farmaci potenzialmente così dannosi a chi non è a rischio elevato, e talvolta neppure realmente osteopenico a causa dell’inganno della MOC? Questi farmaci sono come una soluzione temporanea che ti fa credere di essere al sicuro, mentre in realtà ti espongono a una serie di complicazioni irreversibili. È il momento di rivedere la loro utilità, cercando alternative più sicure e naturali. Deprescrivendoli con coraggio quando incautamente già prescritti. Ma se un farmaco che nell’immediato migliora la MOC, poi a cinque anni genera maggior rischio di fratture, di che cosa stiamo parlando? Che cosa dovrebbe interessare sia al medico che al paziente? Prendersi in giro con i risultati della MOC o pre-venire il rischio fratture? Ovviamente la seconda. E allora perché si continuano a prescrivere? Forse perché sono molto costosi e il marketing dell’industria è molto aggressivo? A pensar male, come diceva quello, si fa spesso centro.
QUINDI CHE FARE?
Appurato dunque che non è opportuno farsi prescrivere farmaci che, oltre a trasformarsi in dannosi nel giro di pochi anni, ci regalano
pesanti effetti collaterali, diventa importante capire che è priva di senso l’insistenza sul ripristino di un singolo fattore (la quantità di calcio assorbita) se contemporaneamente non si lavora anche su altri parametri di riequilibrio.
Sono fondamentali, ad esempio:
• una corretta assunzione calorica quotidiana (un’anoressica è osteoporotica anche se ha 18 anni!)
• un contemporaneo equilibrio del fosforo e degli altri minerali connessi con la densità ossea (sodio, zinco, silicio, magnesio)
• un adeguato apporto vitaminico (vit. C e D)
• un controllo dell’infiammazione, degli stati allergici e delle intolleranze
• un controllo del grasso corporeo in eccesso
• un adeguato funzionamento delle paratiroidi
Il primo punto a cui prestare attenzione è quindi senza dubbio il controllo della congruità dell’assunzione calorica quotidiana. Al di là di qualunque suddivisione percentuale tra nutrienti, se non si raggiunge la quantità di calorie di cui il corpo ha ogni giorno bisogno, l’organismo riceve un segnale di blocco delle funzioni di
costruzione ossea e muscolare. In altre parole: se non si mangia, non c’è verso: l’ipotalamo segnala all’ipofisi di non stimolare in alcun modo la crescita ossea. Questa funzione di autodifesa è un’eredità dei
nostri antenati del paleolitico, che hanno dovuto imparare a sopravvivere in un ambiente dove le carestie erano all’ordine del giorno e dove l’unica difesa alla carenza di cibo era quella di
rallentare i propri ritmi metabolici abbassando i propri consumi. Uno dei mezzi più semplici era quello di ridurre l’incremento di massa muscolare, che prevede però lo stesso mediatore della massa ossea (il GH o ormone della crescita). Se si mangia meno del dovuto, insomma, l’ipotalamo manda un segnale all’ipofisi per l’inibizione
della produzione di GH, così da ottenere un rallentamento della nuova produzione di muscolo e osso.
Se proviamo a dare ad un’anoressica (o a un individuo che segua da mesi una dura dieta ipocalorica) dei concentrati proteici (nella speranza di fare muscolo) o dosi massicce di calcio (per fare
osso) non caviamo un ragno dal buco. Finché un corretto segnale leptinico non va a sbloccare lo stop ipotalamico alla crescita, il risultato sarà zero. Il sangue di questi individui potrà infatti
essere zeppo di calcio, ma in quella situazione non sarà in grado di depositarne a sufficienza nelle ossa, fino a che l’ipotalamo non darà il suo benestare. Sembra semplice da capire, eppure vi sono ancora
molti che vedono nel solo apporto di calcio (o nelle abbuffate di latticini) la via più diretta per ripristinare la densità ossea perduta. Possiamo fornire tutti i mattoni che vogliamo per la costruzione di
una casa, ma se gli operai incrociano le braccia, nessun mattone verrà messo al suo posto.
INFIAMMAZIONE E OSTEOCLASTI
Un altro fattore che può influenzare fortemente la perdita di densità ossea è il livello infiammatorio generale dell’organismo. Il danno si basa sull’azione combinata di due fattori: la liberazione di proteasi e di altri enzimi in grado di indebolire la matrice ossea e il reclutamento in loco di cellule fagocitiche, in special modo i già
citati osteoclasti. Dobbiamo tenere presente che gli osteoclasti
sono a tutti gli effetti dei macrofagi, ovvero cellule specializzate nella rimozione di residui e “rifiuti”, che sono quindi sensibili al richiamo
delle citochine pro-infiammatorie. In altre parole, se i tessuti sono infiammati, il numero di osteoclasti richiamati in loco può superare di gran lunga quello degli osteoblasti (costruttori) abitualmente presenti, generando squilibrio.
I punti chiave quindi che devono orientare l’alimentazione di chi abbia problemi di osteoporosi devono essere rivolti, non – come molti ancora equivocano – alla ricerca dei cibi contenenti tanto calcio, quanto piuttosto, per tutto quanto fin qui discusso:
• Al controllo delle calorie complessive assunte, per evitare malnutrizioni o sottonutrizioni di ogni genere
• Al controllo dei picchi insulinici scatenati da sovradosaggi di zuccheri semplici, per l’effetto infiammatorio da essi prodotti
• Ad un corretto stimolo dei segnali leptinici provenienti dalle cellule adipose, in grado di stimolare la produzione di GH (ormone della
crescita) attraverso la mediazione ipotalamoipofisaria
Lo squilibrio tra costruzione e rimozione ossea non è un fatto di “mattoncini” (che pure servono), ma il frutto di segnali scorretti che il nostro stile di vita e la nostra alimentazione danno al nostro cervello. Gli attori di questa rappresentazione sono alcuni neurotrasmettitori, ormoni, minerali e citochine il cui equilibrio è alterato da comportamenti alimentari aberranti: leptina, grelina, insulina, sodio, calcio, magnesio, zinco, vitamine C e D, ormone della crescita, collagene, TNF-alfa, NFkB ecc. dalle cui eccessive o carenti secrezioni può dipendere l’equilibrio tra costruzione di nuovo osso mediata dagli osteoblasti, e rimozione dell’osso stesso mediata dagli osteoclasti. “Raddrizzare” l’alimentazione e attivarsi al movimento può essere, come ben noto a chi segua la medicina di segnale, la ricetta vincente.

ESERCIZIO FISICO: UN VERO FARMACO
A proposito di movimento, molti ortopedici purtroppo ancora oggi scoraggiano i pazienti osteopenici o osteoporotici dal praticare sport,
per ridurre il rischio di fratture. Non vi è nulla di più errato. Numerosi studi scientifici e linee guida internazionali evidenziano infatti l’importanza dell’esercizio fisico nella prevenzione e
nel trattamento dell’osteoporosi. L’attività fisica regolare non solo migliora la densità minerale ossea, ma rafforza anche la muscolatura e l’equilibrio, riducendo il rischio di cadute e fratture, ovviamente usando buon senso e gradualità soprattutto nelle fasi iniziali, o quando si ricomincia dopo una sosta più o meno lunga. Citiamo solo due importanti studi (ma ce ne sono migliaia) che documentano l’efficacia preventiva e curativa del movimento nei confronti
dell’osteoporosi (link qui sotto). Una revisione sistematica ha analizzato studi su pazienti con osteoporosi conclamata sottoposti a
programmi di attività fisica. I risultati hanno mostrato che l’esercizio fisico può influenzare positivamente i biomarcatori del metabolismo osseo, suggerendo un effetto benefico sulla salute ossea.
Un altro importante studio clinico ha investigato gli effetti dell’aumento dell’attività fisica in donne post-menopausa a rischio di osteoporosi. I risultati hanno indicato miglioramenti nella forma fisica, nell’età funzionale e nella qualità della vita, evidenziando l’importanza dell’esercizio nella gestione dell’osteoporosi.
In sintesi: l’osteoporosi è una grande macchina mangiasoldi per noi e per il sistema sanitario che ci supporta. La prima cosa da fare è controllare la propria MOC per capire se la “diagnosi” ortopedica è reale o se si appoggia sul malinteso T-score / Z-score. Se la patologia è reale, può essere allora utile una integrazione di vitamina D, un’alimentazione antinfiammatoria ma ricca di calorie e di proteine e soprattutto un esercizio fisico anche moderato, ma regolare e costante. Scopriremo così di avere sempre meno bisogno di farmaci e sempre più di sole, buon cibo e vita all’aria aperta. Lo sapeva mia nonna. Proviamo a reinsegnarlo a tutti quelli che l’avessero, colpevolmente, dimenticato.

Luca Speciani
Medico Chirurgo
Presidente AMPAS (Medici di segnale)

Luca Speciani
Medico Chirurgo
Presidente AMPAS (Medici di segnale)
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