L’enorme fardello di mortalità e morbilità, globale e locale, associato ad alcune malattie non trasmissibili (obesità, diabete tipo 2, malattie del cuore, cancro) potrebbe essere notevolmente ridotto da strategie e interventi miranti a migliorare l’alimentazione. E’ la tesi di Adriano Cattaneo, dei NoGrazie, che qui riprendiamo. Cattaneo focalizza l’attenzione sulle raccomandazioni che l’OMS, su mandato dei governi, rappresentati nelle annuali Assemblee Mondiali della Salute, emana e aggiorna periodicamente. È naturale pensare che Big Food, una manciata di multinazionali che controllano la maggior parte della produzione e del commercio globale di alimenti ultra-processati e bevande zuccherate, cerchi di influenzare queste raccomandazioni a suo favore, o per lo meno cerchi di limitare i danni. È ciò che hanno tentato di scoprire tre ricercatori britannici (Lauber K, Rutter H, Gilmore AB. Big food and the World Health Organization: a qualitative study of industry attempts to influence global level non-communicable disease policy. BMJ Global Health 2021;6:e005216).
Lo studio, di tipo qualitativo, ha preso in considerazione i 20 documenti chiave prodotti dall’OMS sul tema tra il 2000 e il 2019. Ha poi raccolto, dalla letteratura medica e non, includendo quella prodotta da Big Food sull’argomento, documenti che contenessero dubbi, critiche o posizioni contrarie a quelle prodotte dall’OMS. I tre ricercatori hanno anche intervistato in maniera semi- strutturata 16 personaggi chiave, impiegati o ex-impiegati di Big Food, di organismi internazionali (tra cui l’OMS) e di organizzazioni della società civile, allo scopo di esplorare in dettaglio alcuni temi identificati dallo studio della letteratura. Un modello precedentemente usato per studiare l’influenza di Big Tobacco sulle iniziative dell’OMS per un mondo senza fumo è stato adattato dai tre ricercatori britannici per analizzare i dati raccolti. La ricerca ha permesso di identificare numerose azioni di Big Food miranti a influenzare l’OMS, azioni riassumibili in 10 tecniche e 3 strategie, tra loro interconnesse (vedi tabella qui sotto).
L’articolo è ricco di esempi. Interessante notare che anche una fondazione filantropica privata, quella di Bill Gates, molto influente all’OMS di cui è il secondo finanziatore dopo il governo USA, potrebbe indirettamente favorire Big Food, visto che possiede e commercia azioni di note bibite gasate e di una catena di fast food. Anche le organizzazioni della società civile potrebbero svolgere questo compito; la World Health Federation, per esempio, è finanziata da Unilever, mentre la International Diabetes Federation lo è da Nestlé.
I paesi più interessati dalle azioni di Big Food sono ovviamente quelli sede di multinazionali, a partire dagli USA. Nell’articolo, però, è citata anche l’Italia, in particolare per la sua opposizione alle linee guida sul consumo di zuccheri e carne e per la resistenza all’adozione di politiche sulle etichette per la parte anteriore delle confezioni. La scusa è la difesa della dieta mediterranea, ma dietro c’è la mano invisibile di Ferrero e della lobby del prosciutto e del parmigiano. In generale, Big Food è contraria a qualsiasi approccio regolatorio e predilige quello su base volontaria.