L’antibiotico-resistenza è una delle principali cause di morte nel mondo

La resistenza antimicrobica (AMR Antimicrobial resistance) è un fenomeno che nel tempo ha assunto i caratteri di un’emergenza sanitaria, una vera e propria ‘pandemia silente’ capace di selezionare batteri multi- o pan-resistenti. L’AMR è infatti oggi una delle principali cause di morte a livello globale e i dati danno evidenza della portata del fenomeno: nel 2019 i decessi di 4,95 milioni di persone sono stati associati alla concausa di infezioni batteriche resistenti ai farmaci, mentre 1,27 milioni di decessi sono stati causati direttamente dall’AMR. Oltre ai drammatici dati sulla mortalità, l’AMR determina un aumento della durata dei ricoveri, ritardi nella somministrazione di altre terapie o nell’effettuazione di interventi chirurgici. Se n’è discusso oggi durante l’incontro dal titolo ‘Il contrasto all’antibiotico-resistenza: strumenti e strategie’, che si è svolto nell’ambito del XLIII Congresso Nazionale SIFO.
“Anche a livello economico, l’AMR produce un conto estremamente salato- ha spiegato Paolo Abrate del Consiglio Direttivo SIFO– già nel 2009 l’ECDC e l’EMA stimavano un costo di 940 milioni di euro per il trattamento di infezioni resistenti causate da sei agenti infettivi. L’aumento dell’AMR è determinato da numerosi fattori trasversali all’ambito umano, veterinario e ambientale, ed è fortemente condizionato dalla pressione selettiva esercitata da un uso eccessivo e spesso improprio degli antibiotici”. Per poter affrontare tale emergenza è “indispensabile e urgente” impegnarsi ad agire su vari fronti: “Rafforzando i sistemi sanitari e la loro capacità di sorveglianza- ha sottolineato Abrate- garantendo l’accessibilità agli antibiotici appropriati, promuovendo un corretto utilizzo degli stessi e incoraggiando strategie antinfettive innovative. La sorveglianza costante e tempestiva deve fornire informazioni riguardo l’entità e le tendenze della resistenza, e l’efficacia degli interventi attuati”.
Strategie di controllo e prevenzione delle infezioni batteriche (IPC) sono quindi progettate per prevenire la diffusione dei patogeni, inclusi quelli resistenti, all’interno delle strutture sanitarie, tra le strutture sanitarie e la comunità e viceversa. L’Antimicrobial Stewardship (AS), intesa come l’insieme di interventi coordinati, finalizzati all’uso responsabile degli antibiotici attraverso la promozione di azioni che bilancino l’esigenza individuale del singolo paziente di ricevere una terapia antibiotica appropriata con quella di salvaguardare nel tempo l’efficacia degli antibiotici stessi, rappresenta un “pilastro fondamentale” per il contrasto all’AMR. “Gli obiettivi principali dell’AS- ha spiegato ancora Abrate- sono ottimizzare la gestione della terapia antibiotica, limitare la comparsa di effetti collaterali associati al trattamento e contenere la diffusione di batteri multi-resistenti”.
Data la stretta interconnessione tra ospedale e territorio, secondo l’esperto è quindi “necessario progettare modelli di AS che possano accompagnare il paziente nei passaggi tra i vari setting di cura. Ovviamente le caratteristiche dei programmi di AS- ha tenuto a precisare Abrate- devono essere adattate a ciascun setting assistenziale, tenendo conto delle specifiche esigenze e risorse disponibili”. Non va poi dimenticato che “circa il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN viene erogato in regime di assistenza convenzionata, con utilizzo al domicilio del paziente, negli ambulatori o nelle strutture residenziali per anziani. Per realizzare programmi efficaci diretti a promuovere l’uso responsabile degli antibiotici sono allora necessarie azioni mirate in ambito territoriale”.
Nell’ambito dei programmi di AS il farmacista ospedaliero, come parte del team multidisciplinare, si occupa di “numerose attività, a partire da un’attenta sorveglianza delle infezioni e un monitoraggio delle prescrizioni antibiotiche (appropriatezza d’uso e consumi), rappresentando un importante anello di congiunzione tra il clinico e il laboratorio di microbiologia”. I dati sul consumo di antibiotici vanno infine interpretati in rapporto alle “resistenze esistenti ed emergenti, al numero di ricoveri, di giornate totali di degenza, alla degenza media”, ha concluso Abrate.