Con la diffusione di diete vegetariane e vegane, sono in tanti a chiedersi se l’uomo sia onnivoro o erbivoro. Per rispondere a questa domanda è importante partire dagli albori: condividiamo con lo scimpanzé il 98.77% del patrimonio genetico e la scimmia è un animale che non disdegna la carne.
L’Austrolopiteco, vissuto da 4 milioni a circa 1,2 milioni di anni fa, era una sorta di grosso scimmione che manteneva più a lungo la stazione eretta rispetto alle scimmie antropomorfe. Presentava mandibole più potenti, molari più sviluppati e canini più piccoli dello scimpanzé: mangiava cibi più coriacei ed è risultato che forse adoperava strumenti primordiali per macellare la carne di piccoli mammiferi. Il passaggio all’Homo Abilis avvenne grazie a un progressivo sviluppo delle facoltà di corridore e al miglioramento degli utensili per cacciare. L’incremento dell’introduzione di carne nell’alimentazione quotidiana facilitò l’aumento del volume celebrale intorno a 600 cm3.
L’Homo Erectus e il fuoco
Un milione di anni fa arrivò poi l’Homo Erectus, colui che scoprì il fuoco e segnò la svolta più importante nell’evoluzione umana. Ed è proprio la cottura del cibo ad avere determinato una svolta sostanziale nella nutrizione: ha reso più digeribile la carne e commestibili piante e legumi. Ha inoltre migliorato l’assorbibilità delle sostanze, accorciato i tempi della digestione e di conseguenza ha liberato risorse per lo sviluppo cerebrale. Così l’apparato digerente dell’uomo, e soprattutto il colon, si è progressivamente accorciato mentre il cervello è aumentato di volume. Il cervello dell’Homo Erectus aumentò in di 500 cm3 in meno di un milione di anni.
Il vantaggio dell’onnivoro: la possibilità di scelta
L’onnivoro ha un grande vantaggio: la possibilità di scelta. Il fatto di dover scegliere cosa mangiare ha aiutato lo sviluppo delle nostre facoltà mentali. Gli animali che si alimentano con un solo tipo di cibo, che sia erba o carne, non hanno necessità di scelta, hanno un grande stomaco e poco cervello.
L’Homo Erectus migliorò con il fuoco anche gli strumenti della caccia e aumentò molto l’introduzione di carne. La carne e in genere le proteine animali determinarono un maggiore introito di taurina, non sintetizzabile in quantità adeguata dalle fonti vegetali, importante attivatore del metabolismo cerebrale. La selvaggina è ricca di acidi grassi polinsaturi come il C20 (eicosapentaenoico) e il C22 (docosapentaenoico), essenziali per lo sviluppo cerebrale, che l’uomo non è in grado di sintetizzare a partire dal C18 vegetale. La vitamina B12, essenziale per l’attività cerebrale, l’uomo la ricava dalla carne. Il cervello necessità infatti di sostanze proteiche, grassi e soprattutto di zucchero. Con un’alimentazione simile alle grandi scimmie, l’Homo Erectus avrebbe dovuto alimentarsi per otto ore al giorno per sostenere lo sviluppo del cervello.
L’uomo di Neanderthal e Sapiens
L’Homo Erectus ha raggiunto una capacità cerebrale intorno ai 1200 cm3. Poi, circa 400 mila anni fa, è arrivato l’uomo di Neanderthal. Il Neanderthal ha attraversato due grandi glaciazioni e si estinto tra 30 mila e 25mila anni fa. È stato un grande cacciatore, la sua alimentazione poteva arrivare anche a un introito del 90% di proteine al giorno: aveva fegato e reni più grandi dei nostri probabilmente per supplire a questo introito di proteine. Il suo cervello raggiunse una capacità di 1600 cm3, più o meno come il nostro. L’Homo Sapiens ne determinò, assieme ad altri fattori, l’estinzione.
Tornando alla domanda iniziale, proviamo a chiederci a che punto sarebbe arrivata la nostra evoluzione se i nostri antenati non fossero stati onnivori.
Tratto da un articolo del dottor Gabriele Guidoni sul numero 91 de L’Altra Medicina (dicembre 2019/gennaio 2020), acquistabile in edicola e online.