L’effetto antiossidante della vitamina E può ribaltarsi e aumentare il rischio di tumore alla prostata. A spiegare i meccanismi dietro questo “paradosso” è uno studio portato avanti da ricercatori dell’Università di Bologna. Con una serie di esperimenti sia in vitro che in vivo su ratti, gli studiosi hanno mostrato come la vitamina E possa indurre enzimi che facilitano la formazione di sostanze cancerogene e portano all’aumento di radicali liberi.
A partire da questi risultati – pubblicati su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – i ricercatori suggeriscono quindi di prestare attenzione all’utilizzo eccessivo di integratori con funzione antiossidante. “Siamo esposti tutti i giorni a campagne pubblicitarie che promuovono svariati prodotti di origine naturale come vere e proprie pillole magiche prive di rischi per la salute”, spiega Moreno Paolini, professore dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “Purtroppo abbiamo però riscontrato che l’uso eccessivo di queste molecole può portare a effetti dannosi: gli integratori possono essere fondamentali in particolari condizioni, ma è sempre bene consultare il proprio medico curante o uno specialista prima di iniziare ad assumerli”.
Un’ipotesi da verificare
Nel mondo occidentale, il cancro alla prostata è la più comune forma di tumore e la seconda causa di morte tra le malattie oncologiche per i maschi adulti. Per questo, comprensibilmente, negli ultimi decenni c’è stata una grande attenzione sulla prevenzione, con un focus sulla ricerca di sostanze antitumorali.
Alcuni studi epidemiologici e preclinici hanno suggerito che l’integrazione nella dieta di selenio e vitamina E potesse proteggere contro alcuni fattori noti per favorire il tumore alla prostata. Ma un vasto studio clinico – chiamato SELECT – avviato nel 2001 per verificare e comprendere meglio gli effetti benefici di queste sostanze ha rivelato risultati inattesi e clamorosi: non solo il potere antitumorale della vitamina E non è stato confermato, ma è stato osservato un aumento significativo dei casi di cancro alla prostata tra chi assumeva gli integratori.
“A partire da questi risultati – spiega Donatella Canistro, ricercatrice tra i principali autori dello studio – abbiamo ipotizzato che la vitamina E, in determinate condizioni e in alcuni tessuti, non agisse più come antiossidante ma al contrario favorisse pericolosi processi ossidativi”.
Un’ipotesi per la quale gli studiosi bolognesi hanno cercato – e trovato – verifiche in laboratorio. “Il nostro studio – continua Canistro – ha evidenziato come la vitamina E favorisca sia l’azione di una superfamiglia di enzimi, nota come CYP450, responsabile della trasformazione di sostanze pre-cancerogene in cancerogene finali, sia l’aumento dei livelli di radicali liberi nelle cellule della prostata”. Generando effetti che possono facilitare il danneggiamento del DNA cellulare, la vitamina E si comporta quindi in questo caso come una sostanza che favorisce l’insorgenza del tumore.
Un’altra conferma
I ricercatori hanno confermato l’attività cancerogena della vitamina E anche realizzando studi di trasformazione cellulare basati sul benzo(a)pirene: un idrocarburo che si trova ad esempio nel fumo di sigaretta e nei gas di scarico dei motori diesel, e una delle prime sostanze di cui è stata confermata la cancerogenicità.
“Dai nostri esperimenti – spiegano Fabio Vivarelli, ricercatore tra i principali autori dello studio, e Silvia Cirillo, dottoranda di ricerca – è emerso che la vitamina E aumenta l’attività cancerogena del benzo(a)pirene. Le cellule esposte alla vitamina E, infatti, una volta entrate in contatto con il benzo(a)pirene sono più portate ad acquisire le caratteristiche morfologiche e replicative tipiche delle cellule tumorali”.
L’utilizzo di integratori antiossidanti a base di vitamina E, insomma, non sembra essere un’arma efficace contro il tumore alla prostata. Anzi, in alcune condizioni può rivelarsi addirittura pericoloso.