C’è chi li adora (soprattutto noi italiani), chi li teme dispiacendosene e chi li rifiuta in blocco come accade con certe diete iper-proteiche di grande e incomprensibile successo. In realtà, come sempre, “est modus in rebus”. Dove sta il problema? Nel fatto che i carboidrati nel nostro organismo vengono scomposti in zuccheri (li chiamano “monosaccaridi”: glucosio, fruttosio, galattosio) e gli zuccheri in eccesso aprono la strada al diabete, alle malattie cardiovascolari e persino ad alcuni tumori. I rischi per la salute, tuttavia, riguardano anche il consumo di carne e derivati del latte, e in misura nettamente maggiore. Quindi?
Due regole da seguire
Per quanto riguarda i carboidrati, non dobbiamo privarcene ma considerare alcune semplici regole. Tutti noi non vogliamo rinunciare agli spaghetti al pesto, o al pomodoro con le nostre spezie e aromi, ed è veramente stupido rinunciarvi. Davvero controproducente.
Entriamo, quindi, nel merito: come possiamo metterci al riparo dai rischi che si associano al consumo di carboidrati, alimenti presenti su tutte le tavole, come il pane, la pasta, il riso?
In due modi: prestando attenzione alla quantità e alla qualità dei carboidrati.
1 Quantità. La prima contromisura è sempre la moderazione: c’è una grande differenza tra il mangiare 70 grammi di pasta oppure di seguito due piatti ricolmi. Se ne mangiamo troppi la glicemia post-prandiale purtroppo si innalza e, se questo diventa un’abitudine, si apre la strada al diabete, alle malattie cardiovascolari ed altro.
2 Qualità. Altrettanto importante è prestare attenzione alla qualità dei carboidrati che assumiamo attraverso i cibi. La qualità si misura attraverso un parametro conosciuto come Indice glicemico (IG). E’ necessario, dunque, aprire una parentesi su questo parametro, ancora poco conosciuto dal grande pubblico e dibattuto tra gli specialisti.
Che cos’è l’Indice glicemico?
L’indice glicemico è un sistema di valutazione della qualità dei carboidrati, basato su un punteggio da 1 a 100. Vanno preferiti i cibi con un IG basso, e ridotti quelli con un IG elevato. Da che cosa dipende questo valore? Dalla velocità con cui i carboidrati presenti nei vari alimenti vengono digeriti, assorbiti e metabolizzati. In altre parole, la digestione di un alimento con un IG basso è lenta, protratta nel tempo, il contrario per i cibi dotati di un IG elevato. Ciò significa che se consumiamo cibi ad alto IG, gli zuccheri presenti nei carboidrati entrano velocemente, tutti insieme, nel sangue, determinando il fenomeno conosciuto come iperglicemia post-prandiale. E’ proprio quello che andrebbe evitato, perché apre la strada allo sviluppo del diabete, e nelle persone che sono già diabetiche, aumenta il rischio di complicanze (disturbi circolatori, danni oculari, neuropatie, ecc.).
Finalmente arriva il consenso internazionale
Come dicevamo, per molti anni la comunità scientifica ha promosso ricerche per definire meglio i rischi legati all’Indice glicemico, e anche per capire quali sono le differenze tra i vari tipi di carboidrati per la nostra salute. Solo nelle scorse settimane, a Stresa, un comitato internazionale di specialisti, leader nel campo della nutrizione, si è riunito per redarre un documento comune da divulgare tra i colleghi medici di tutto il mondo e sulla stampa internazionale. Il summit è stato organizzato dalla Nutrition Foundation of Italy (sotto la guida scientifica di Andrea Poli) e da Oldways. Era presente anche David Jenkins, dell’università di Toronto e autorità assoluta in materia, famoso tra gli addetti ai lavori per aver ideato, agli inizi degli anni Ottanta, il concetto stesso di Indice glicemico, ora un “must” della diabetologia (è su tutti i testi su cui si formano gli studenti di medicina).
Quali sono dunque i cibi con il valore IG più elevato?
Si definiscono ad alto indice glicemico gli alimenti con un valore superiore a 69: glucosio (100), quasi tutte le patate (77), pane bianco (70).
Tra i cibi a medio IG (56-69) troviamo saccarosio (65) e pizza (57). Il saccarosio è lo zucchero da cucina che mettiamo nei nostri tè, o caffè, ed è formato da due zuccheri semplici: glucosio e fruttosio.
A basso indice glicemico sono la pastasciutta al dente (45), la mela (40), i legumi (35) mentre, per esempio, i pomodori si attestano sul 9.
Per conoscere l’indice glicemico dei vari alimenti tenete presente che c’è molta confusione sul web: se cercate informazioni consigliamo il sito: www.glycemicindex.com
E’ in inglese ma affidabile (andate su “Search of glycemic Index”). L’Australia è il primo paese al mondo che ha deciso di invitare i produttori a dichiarare l’IG in etichetta.
Primo trucco: cuocere poco
La buona notizia è che la pasta al dente ha un IG piuttosto basso, sicuramente inferiore al pane bianco. In generale, più si prolunga la cottura, più rapida è la digestione enzimatica dei carboidrati e quindi più alto l’IG e il picco glicemico post-prandiale. Preferiamo sempre la cottura al dente della pasta e del riso. Riguardo al riso, poi, quello con l’IG più basso è il “parboiled”.
Secondo trucco: lasciate raffreddare le patate
La cattiva notizia è che le patate cotte hanno un IG molto alto (acc…). Tuttavia, anche in questo caso c’è un trucco per ridurlo: lasciarle raffreddare e magari aggiungere alcune gocce di aceto. L’IG in questo modo si riduce. Lo stesso effetto sull’IG dovuto al raffreddamento è valido per gli altri alimenti che contengono carboidrati.
Terzo trucco: puntare sulle fibre
L’indice glicemico viene ridotto se ai nostri cibi aggiungiamo le fibre di Guar, Psyllium e Beta-glucani. Per la presenza di fibre, estremamente benefiche per l’organismo, scegliamo anche i cereali grezzi.
Un cambiamento in corsa (per i diabetici)
Ricordate la vecchia classificazione in carboidrati “semplici” e “complessi”? Per anni si è detto ai diabetici di evitare assolutamente i primi (tra cui i “monosaccaridi”: glucosio e fruttosio) e di orientarsi con moderazione sui secondi (costituiti, come negli amidi, da molti“monosaccaridi” legati tra loro). Questo concetto è ormai superato. In realtà, pane bianco e patate (costituiti da carboidrati complessi), a causa del loro elevato indice glicemico, sono persino più dannosi di alcuni zuccheri “semplici”, come fruttosio e saccarosio. Questo non significa “via libera” al consumo selvaggio di questi zuccheri: ma in quantità limitate possono tornare sulle tavole senza sensi di colpa.
Basso indice glicemico per prevenire le malattie cardiovascolari
Ormai è chiaro che gli alimenti con un basso Indice glicemico migliorano tutti i fattori di rischio cardiovascolare. Nella confusione generale, cerca di portare chiarezza Gabriele Riccardi, un endocrinologo dell’università di Napoli, già presidente della Società italiana dei diabetologi.
E’ un effetto globale – dice Riccardi – non solo sulla glicemia e sull’insulina. Adottando una dieta a basso IG possiamo avere un aiuto concreto per tenere sotto controllo, nello stesso tempo, il peso corporeo, la colesterolemia, la trigliceridemia e l’infiammazione vascolare. Sappiamo che l’aterosclerosi, da cui originano malattie come l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale, progredisce anche a causa di un processo infiammatorio in atto nella placca aterosclerotica. Anche per questo motivo è bene puntare su cibi a basso Indice glicemico. Un effetto analogo si ha con l’apporto di fibre.
E riguardo al legame tra carboidrati e tumori?
Alcuni studi epidemiologici hanno accertato che, effettivamente, questo legame esiste. E l’Indice glicemico è parte in causa: cibi ad elevato IG espongono ad un maggior rischio di contrarre alcuni tipi di tumore: in particolare al colon-retto, all’utero, al pancreas e al fegato. Forse, con dati più controversi, è coinvolta anche la mammella in post-menopausa. Ormai, ci sono oncologi informati che consigliano ai loro pazienti di ridurre i carboidrati, i dolci, per contenere il rischio di recidive. Come ha spiegato a Stresa Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Istituto Mario Negri di Milano, preoccupa soprattutto l’aumento del rischio di tumore al colon-retto, il tumore più frequente in Italia nei non-fumatori. L’aumento del rischio dovuto ai carboidrati è pari a circa il 10 per cento di casi in più. Non è poco. Poiché in Italia parliamo di circa 40 mila nuovi casi all’anno di cancro colorettale, curando l’apporto di carboidrati si potrebbe fare prevenzione attiva evitando la malattia a migliaia di persone, solo per questo tumore.