Si comincia a vedere, con maggiore precisione, che alcuni vegetali più di altri abbattono il rischio di sviluppare il diabete. I mirtilli, in particolare, sbaragliano la concorrenza.
L’anno scorso le università di Harvard e Cambridge hanno analizzato i dati di 3 grandi studi prospettici per verificare quali frutti si associano a un minore impatto del diabete di tipo 2.
Ne è scaturita una tabella che si riferisce a tre porzioni alla settimana: quanto si abbatte il rischio rispetto a chi consuma meno di una porzione al mese?
– I mirtilli abbattono il rischio di diabete del 26%.
– Uva e uvetta del 12%
– Prugne: meno 11%
– Mele e pere: meno 7%
– Banane e pompelmo: meno 5%
– Pesche e albicocche: meno 3%
Particolare importante: la riduzione del rischio diabete si vede solo assumendo il frutto intero, la stessa cosa non vale per il succo.
I risultati possono indirizzare le scelte alimentari, in particolare in presenza di casi in famiglia o quando subentrano i primi problemi di glicemia. Il diabete di tipo 2 è in drastico aumento: il ministero della Salute calcola che in Italia la malattia riguardi circa 4 milioni di persone.
Resta da capire attraverso quale meccanismo questi frutti svolgono la loro azione preventiva contro il diabete.
La discussione è ancora in corso. Non è la prima volta che i frutti di bosco, ricchi in antocianine, si rivelano in grado di ridurre l’impatto del diabete 2. Tuttavia, il nuovo studio suggerisce che altre sostanze contenute nella frutta siano coinvolte nella riduzione del rischio. Tra queste il resveratrolo presente nell’uva, l’acido clorogenico (in mele, prugne pesche e albicocche), la naringina del pompelmo.
Non sembra, invece, che l’indice glicemico (cioè quanto rapidamente gli zuccheri entrano nel sangue) influenzi l’associazione tra consumo di frutta e rischio di sviluppare il diabete.
Gli autori consigliano quindi di consumare sempre il frutto intero: è l’insieme del frutto che fa la differenza, non una sua singola parte. Il ché, per esempio, indirizza verso una preferenza per i frullati rispetto ai centrifugati.
Muraki I et al. BMJ 2013; 347: f5001
http://www.bmj.com/content/347/bmj.f5001