di Lorena Pajalunga
Quando, il 1º gennaio 1950, Radio Pechino annunciò per il Tibet l’imminente “liberazione dal giogo dell’imperialismo britannico”, ebbero inizio trattative diplomatiche tra cinesi e tibetani al fine di evitare l’invasione cinese. La Guerra di Corea, scoppiata il 25 giugno 1950, e l’intervento americano a sostegno della Corea del Sud attaccata dalla comunista Corea del Nord di Kim Il Sung, dettero alla Cina l’occasione sperata per occupare il Tibet.
L’opinione pubblica mondiale, distolta dagli eventi coreani, venne colta di sorpresa allorché, il 7 ottobre 1950, quarantamila soldati dell’Esercito di liberazione popolare attraversarono il corso superiore dello Yangtze e dilagarono in tutto il Tibet orientale, uccidendo ottomila male armati soldati tibetani.
Il 17 novembre 1950, a sedici anni, l’attuale XIV Dalai Lama –Tenzin Gyatso- assunse i pieni poteri spirituali e temporali come Capo dello Stato, sottoscrivendo il 23 maggio 1951 l’ “accordo dei 17 punti” noto come “Trattato di liberazione pacifica”. In seguito la Cina usò questo documento per attuare il piano di trasformare il Tibet in una colonia cinese senza tenere alcun conto della forte resistenza del popolo tibetano. Privato dei suoi territori settentrionali ed orientali, il 9 settembre 1951 il Tibet dovette acquartierare nella capitale Lhasa 3.000 soldati e cambiare il proprio nome adottando quello cinese di Xizang. Questa data segna la fine dell’indipendenza tibetana con la emblematica rinuncia ad una autonoma politica estera ed a batter moneta.
Sin dal 1952 i cinesi vennero economicamente incentivati a trasferirsi in massa in Tibet dalle regioni limitrofe, sicché oggi i tibetani costituiscono una minoranza nel proprio paese e, dal 1965 con la proclamazione della Regione Autonoma del Tibet, questo paese perse la propria indipendenza e venne annesso de facto alla Cina ed amministrato direttamente da Pechino. Dopo un incontro avvenuto nel 1954 fra il Dalai Lama ed il Panchen Lama da un parte e Mao e gli altri leader comunisti dall’altra, questi ultimi accusarono il Buddhismo di essere un “veleno”. Tornati in patria i due giovani leader religiosi scoprirono che lontano da Lhasa, nelle provincie di Amdo e Kham, le milizie comuniste avevano già cominciato a svuotare i monasteri ed a perseguitare il clero buddista.
La colonizzazione “pacifica” del Tibet si scontrava con una reale e sistematica distruzione del culto tibetano e dei monasteri, nella completa indifferenza mondiale. Repressione e arresti di massa scatenarono nel 1955 le prime fiammate di insurrezione armata, a cui parteciparono i monaci buddisti.
Approfittando dei dissidi in seno al Partito comunista cinese in seguito alla fallimentare e tragica esperienza del “grande balzo in avanti”, il 10 marzo 1959 il movimento di resistenza tibetano, ormai esteso a tutto il Paese, culminò in una sollevazione che fu repressa col dispiegamento da parte del governo cinese di 150.000 uomini e di unità aeree. Migliaia di uomini, donne e bambini vennero massacrati nelle strade di Lhasa e in altri luoghi e si ritiene che questa insurrezione abbia comportato una strage di almeno 65.000 persone (cifre più attendibili indicano in 80.000 vittime e 300.000 profughi).
Il 17 marzo 1959 il Dalai Lama abbandonò Lhasa per cercare asilo politico in India, seguito da oltre 80.000 profughi tibetani, fra i quali i genitori di Tashi Tsering Lama nato il 19 marzo 1959 a Kalimpong, una zona molto isolata del Tibet.
All’età di sette anni Lama Tashi, entrò nel monastero di Ghumey Tantric College nel Sud dell’India, dove divenne monaco e studiò per quindici anni specializzandosi in Tantrismo, pittura Tibetana e, successivamente, nei Sutra, con Maestri di grande levatura Spirituale sviluppando altresì una profonda attenzione per la protezione e la tutela della Cultura Tibetana.
Questa particolare attenzione per la tradizione unitamente al sostegno ricevuto dalla Fondazione Butterfly Onlus ha consentito di erigere nel quartiere tibetano di Boudha, in Milan Tole – Phulbari, Kathmandu, – dal marzo 2005 – la Tashi Boarding School presso la quale trovano alloggio, vitto ed istruzione più di centoquaranta, bimbi orfani tibetani.
Qui, in questa enclave nella quale sono gelosamente custodite la lingua, la cultura, la tradizione e la religiosità tibetana – altrimenti perseguitata in Tibet – con mio marito Riccardo abbiamo conosciuto il nostro nuovo figlio, Tsewang: lo abbiamo amato sin dal primo istante, ci siamo “ sottilmente ” riconosciuti in lui e lo abbiamo accolto nei nostri cuori.
Tutto è avvenuto inspiegabilmente, quasi con la delicatezza del volo di una farfalla… una piccola mano che improvvisamente stringe la mia, mentre tutt’intorno è un vociare allegro di canti e giochi, e due occhi che sembrano scavarmi sin nei più profondi recessi dell’anima.
Quella prima volta non abbiamo parlato, non potevo… anche perché stavo tranquillamente piangendo per le mille sensazioni che quel contatto inatteso aveva scatenato nel mio smisurato ego.
Poi, è subentrata la presa di coscienza, la gioia di impegnarmi per qualcosa di costruttivo che mi unisse non solo a quel piccolo essere che ormai aveva catturato il mio cuore, ma anche a tutti i suoi “fratelli” che in quel momento, in quell’orfanotrofio, stavano lottando quotidianamente per affermare il loro diritto di vivere secondo la propria Tradizione.
Non potevo, per altro, non esprimere talune considerazioni strettamente connesse alla mia attività professionale.
Trent’anni orsono, in India, il mio Maestro vedendo oltre i miei occhi e leggendo nel mio cuore, mi affidò il compito di insegnare ai bimbi la millenaria pratica dello yoga.
Questa scelta che mi ha consentito di affrontare una ininterrotta ricerca spirituale alla scoperta di quanto potesse essere loro confacente, ha evidenziato la innata predisposizione che i bambini manifestano nei confronti della pratica yogica mentre la loro sensibilità e l’intuizione li rende allievi ideali nonostante, talvolta, le difficoltà della quotidianità opprimano la loro giovane vita con intensi momenti di sofferenza e tristezza. Queste valutazioni sono ulteriormente arricchite dalle particolari, sottili sensazioni che, ogni volta, suscita in me un incontro con i bimbi. Così è stato anche con i “miei” piccoli della Tashi Boarding School, a Kathmandu con i quali ho, recentemente, trascorso un lungo e, per me, gratificante periodo.
Questa opportunità che mi ha consentito di condividere lunghi momenti della loro quotidianità, dallo studio al gioco, ha progressivamente fatto scaturire non poche domande correlate all’educazione, al comportamento che ho rilevato fra i piccoli orfani tibetani rispetto a quello di molti bimbi italiani taluni dei quali con le loro astruse richieste sul volo di ritorno, hanno tenuto “in scacco” i loro genitori assolutamente incapaci di dare una pur minima impronta educativa!
Come possono fanciulli, da sempre privi del tepore domestico, essere così sorridenti ed affabili, come possono mantenere un così elevato livello di spiritualità pur nell’indigenza quotidiana e nell’incertezza del futuro?
Come posso far sperimentare ai miei piccoli bimbi, in Italia, quella totale comunione spirituale e la fratellanza che ho prepotentemente avvertite fra i loro coetanei tibetani?
Alcune risposte sono giunte perché connesse al mio concetto di educazione e formazione: i miei bimbi tibetani vivono l’autorevolezza espressa con un sorriso, avvertono il valore della cultura ( che per loro è anche una necessità di sopravvivenza e la manifestazione di un’appartenenza), il profondo significato rituale di un gesto, il valore del tempo scandito da una preghiera.
Ho portato con me, insieme ai loro sorrisi, il dolce suono delle voci che ripetono complicati mantra mandati a memoria ed ho la consapevolezza di aver ricevuto molto più di quanto non sia riuscita a donare e che questa splendida esperienza non possa rappresentare uno sporadico ed irripetibile momento della mia vita.
Ora, so che in ogni momento della mia vita esistono e sento con me tutti loro, i 150 bimbi tibetani della Tashi Boarding School, so che impiegherò tutte le mie forze affinché questi splendidi bimbi – privi di qualsiasi documento e quindi “amministrativamente” non esistenti – possano continuare a testimoniare e difendere la loro cultura insegnandoci, ogni giorno, la straordinaria bellezza della vita.
Tashi Boarding School. Se vorrete sostenere le iniziative a favore dei bimbi tibetani, visitate il sito www.culturaletibetana.org, od il sito all-is-one.it. Potete anche telefonare a Lorena Pajalunga, 340.73.72.841