Questa pratica del buddhismo tibetano è in grado di aumentare la temperatura corporea. Ma è prima di tutto una potente meditazione Yoga.
Ne abbiamo già parlato: di recente i ricercatori occidentali hanno confermato che il Tummo (“Tumo” in Tibet) “scalda” il corpo: il risvolto pratico è ben conosciuto ai monaci tibetani che devono sopravvivere sulle cime ghiacciate delle loro meravigliose montagne. Milarepa ne parla nei suoi canti dove si descrive in tranquilla meditazione sotto la neve, vestito solo con “un leggero abito di cotone”: il dono del Tummo fu poi lasciato in eredità ai monaci.
Ma che cos’è il Tummo dal punto di vista dello Yoga tibetano? E’ appunto una pratica che appartiene a uno dei 6 Yoga di Naropa. Oggi diremmo che è un tipo di visualizzazione, ma ovviamente è molto di più. Ci si immagina una fiamma di colore rosso localizzata sull’ombelico ma più in dentro rispetto alla pelle. Questa fiamma rossa ha una precisa figura: come nella foto, assomiglia a uno Stupa, o a una punta di lancia, sulla cui sommità resta in equilibrio una falce di Luna e sopra la luna un Sole da cui si diparte un piccolo oggetto, a rappresentare il suono interiore (nada).
La meditazione sulla fiamma corrisponde all’accensione del Fuoco interiore, collocato sul canale energetico centrale (“uma” in tibetano, “nadhi” in sanscrito). Per ravvivare la fiamma occorre che i due canali laterali si uniscano, riportando l’attenzione al centro: questa unione, o queste “nozze” sono rappresentate dall’equilibrio raggiunto dal Sole e dalla Luna sopra la punta. La fusione del maschile e del femminile è “burro fuso” che discende al Fuoco centrale per alimentarlo.
Come scrive lo studioso Jacques Vigne “in questo modo il canale centrale si apre sempre di più alla circolazione dell’energia vitale e l’esperienza della felicità interiore si stabilizza”. Sul piano fisico l’effetto è un aumento della temperatura corporea, sul piano spirituale ciò si concretizza nell’apertura dei canali energetici, che i saggi tibetani descrivono come intasati da una specie di “vermi”.
Scrive ancora Vigne: “E’ un modo per dire che generalmente le nostre sensazioni sono frammentate, spezzettate, e non riescono a unirsi in correnti armoniose e fluire in tutto il corpo; sono come acque stagnanti, piuttosto che fiumi che scorrono con costanza”.
Nel concentrarsi sul Fuoco che splende a livello dell’ombelico, i monaci recitano dei Mantra. In particolare due suoni, una “a” e una “ham”, che sono il primo e l’ultimo dell’alfabeto tibetano (i nostri alfa e omega). In quanto tali racchiudono tutto l’alfabeto, tutti i suoni che si uniscono. Notiamo anche che l’unione dei due suoni produce “aham”, termine che in sanscrito significa “io”: la fiamma interiore bruciando tutto l’alfabeto ci libera anche dal nostro “io”. Di conseguenza lo spirito si calma, ogni pensiero si interrompe.
Per approfondire consigliamo il libro “Il matrimonio interiore” di Jacques Vigne (La Lepre Edizioni)