Nell’entroterra ligure si trova uno dei pochissimi templi tradizionali indù in Italia: è la comunità di Gitananda Asram. Sono aperti a tutti, ecco come accolgono gli ospiti.
L’ospitalità, caratteristica della vita indù, è fondamentale. L’ospite è Dio stesso e deve essere accolto e onorato. Il riferimento è alle Upanishad. L’ospite è “atithi”, ovvero “colui che giunge improvvisamente senza aver fissato un giorno”. Infatti “tithi” significa “data, giorno” e il prefisso “a” è una negazione. E’ facile essere ospitali quando l’appuntamento è stato fissato da tempo: la vera ospitalità si misura quando l’ospite giunge inatteso.
Namaste
L’ospite è accolto con il gesto “namaste”, il saluto di benvenuto con le mani unite davanti al cuore. Ma è molto più di un saluto. Significa: “Tu e io siamo una cosa sola”. Il gesto rimanda alla percezione dell’unità con gli altri esseri, all’idea che tutti noi proveniamo dalla stessa origine.
L’offerta agli Dei
Segue l’offerta di acqua, cibo e ristoro, secondo un rito vero e proprio. E’ detto: «Con l’ospite arrivano tutti gli Dei. Se l’ospite è onorato, così sono gli Dei. Se lui va via deluso, anche loro sono delusi» (Mahabaharata 14.92).
La condivisione
In molte opere della tradizione induista si parla dell’importanza di condividere il proprio cibo con gli altri. Noi, che per fortuna non abbiamo mai sofferto la fame, dobbiamo fare uno sforzo per capire che cosa significa. In altri tempi, anche da noi, poteva essere la differenza tra la vita e la morte.
Un poeta indiano
Per esempio, il poeta indiano Tiruvalluvar sostiene che chi offre il cibo a un viandante, in qualsiasi momento si presenti, vive nella casa di Dio. Perché la nostra vita non è una proprietà da recintare ma è fatta di scambio e relazione con gli altri. E il cibo è un modo per stabilire questa relazione. Il cibo, secondo questa visione, è anche un’opportunità per vivere a stretto contatto con la Natura da cui tutti noi proveniamo. Siamo nell’ambito del vegetarianesimo.
Burro chiarificato tutti i giorni
Nella comunità dell’Asram – lo diciamo da ospiti – tutti i giorni si prepara il ghi, il burro chiarificato. E’ un rito, non serve solo per l’alimentazione. Il ghi è il combustibile per gli stoppini dei lumini da riporre davanti alle divinità. E’ l’offerta di luce (arati) che conclude i riti quotidiani.
Annapurna, ovvero la compassione
Stiamo parlando di una comunità monastica. Il momento della preparazione dei cibi si considera sacro. In una nicchia della cucina si trova un piccolo tempietto dove la Madre divina, Annapurna, veglia su questo importante momento.
Il monastero e i suoi libri
In breve, volevamo solo portare l’attenzione su questa realtà italiana per chi fosse interessato e per i curiosi. Il tempio si trova in località Pellegrino, ad Altare in provincia di Savona.
Questo è il sito web del monastero indù:
http://www.ashramgita.com/
Un libro curato dalla comunità è stato recentemente edito dalle Edizioni Laksmi. E’ davvero un buon libro, non la solita rifrittura. Si chiama “Il cibo che dà la felicità – la cucina dell’Asram”. E’ frutto dell’esperienza quotidiana: non siamo in India, perciò l’approccio all’alimentazione deve tenere conto anche delle disponibilità locali.