Abita i giardini, e non gode di buona stampa. In pratica, lo si estirpa come un’impresentabile infestante. Eppure il romice (Rumex) entrava nelle nostre formule erboristiche popolari.
Ne parliamo perché alcuni di noi sanno che le foglie del romice erano utilizzate dai nonni o bisnonni per contrastare certi problemi di salute: eruzioni cutanee, ascessi della pelle ma anche mal di pancia dei bimbi.
Si faceva così: si preparava un cataplasmo in cui le foglie erano miscelate nel burro. Si applicava sulla zona interessata del corpo, con una benda. Quando le foglie erano secche, si toglieva il tutto. Almeno secondo le nostre versioni, che riguardano la Lombardia e il Piemonte, ma anche in Toscana alcuni amici dicono che i bisnonni usavano il romice, o la piantaggine (altra ‘malerba’ con un grande passato erboristico).
Se avete informazioni al riguardo, grazie se ce le comunicate (redazione@laltramedicina.it). Purtroppo, tutto questo si sta perdendo per sempre. E’ lo slavaz, chiedete ai nonni, erba di fosso ma con una particolare attitudine a portarsi nei prati, negli orti e nei giardini. Si infiltra tra i muretti, e tra le pietre, dove è difficile da stanare. E’ chiamato anche lapazio, erba cucca, rimes o erba di vacca. Nella foto un Rumex (obtusifolius).
Estirpiamo lo slavaz?
Impresa non facile. Il romice è una pianta con radice a fittone ben piantata nella terra. Ma anche se, dopo gli sforzi del giardiniere della domenica, ne rimane un pezzetto, il romice non ha problemi: ben presto si riprende e nasce una nuova pianta. E’ una pianta con grandi capacità di adattamento, cresce anche in ambienti aridi.
Sul Rumex esiste anche una buona letteratura scientifica, sebbene ferma agli studi in vitro: risulta particolarmente ricco di composti antiossidanti, dai flavonoidi, ai composti fenolici, ai carotenoidi, alle vitamine. Con i suoi particolari lipidi, acidi organici e proteine. La cosa più interessante non è la singola sostanza contenuta nella pianta ma la sinergia tra tutte le componenti.