Nella cultura giapponese il temine Koshi indica la zona del bacino, anche detta “la parte più importante del corpo”. E’ fondamentale in tutte le arti marziali e per le discipline fisiche nipponiche.
Infatti come vedete nell’ideogramma, la prima parte significa “corpo”, la seconda “più importante”. E’ più importante perché è il centro, il punto di equilibrio delle forze che regolano il nostro “stare nel mondo” con un corpo fisico.
Koshi, in giapponese, è il bacino ma corrisponde anche al punto “hara”, situato circa 3 centimetri sotto l’ombelico. Tutti i nostri movimenti si realizzano grazie a questo punto di ancoraggio naturale, di cui bisogna tenere conto per “non danneggiare il corpo”.
Il movimento, cioè, è normato e la pratica fisica si fonda su “modelli di movimento”, detti “kata”. Il presupposto è che tutte le parti del corpo sono tra loro in relazione: un cattivo movimento dei piedi può causare problemi al collo o alle spalle, e viceversa. Per evitare problemi è necessario prestare attenzione al centro, che armonizza il movimento: koshi appunto. Ma il significato trascende l’aspetto fisico: “Hara no aru hito” è l’uomo che possiede “hara”, il centro, l’equilibrio, il controllo, la solidità nelle situazioni avverse.
Il Koshi ha una lunga storia. In ambito marziale il controllo del “centro” si ottiene con le posizioni base fissate su Koshi, come centro della postura. E’ il caso, per esempio, del kendo e del sumo. La posizione e il riequilibrio delle ossa del bacino sono naturalmente molto importanti anche in ambito shiatsu.
Da questa percezione del “centro” nasceva la “camminata dei samurai”, e di tutti i giapponesi, fino al Settecento. La camminata era molto particolare: il tronco rimaneva immobile con una leggera inclinazione in avanti. L’incedere, pensato a protezione della zona lombare (koshi), permetteva di mantenere stabile il centro del corpo ed era noto perché minimizzava la fatica nel percorrere grandi distanze.
Altre discipline giapponesi, più recenti, come il Sotai Ho, il Seitai Shinpo e il Reiki, ereditano il concetto di hara da questa tradizione.