La dottoressa Antonella Ronchi (nella foto), presidente della Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati (FIAMO) e membro del comitato scientifico de L’altra medicina magazine, ha commentato per noi il nuovo attacco alla Medicina omeopatica. Con l’autorevolezza che la contraddistingue, fa chiarezza su come stanno effettivamente le cose, al di là di pregiudizi e prese di posizioni pilotate.
“Recentemente è stato diffuso un documento dal titolo “ Effetto dell’omeopatia in condizioni cliniche: valutazione delle evidenze”, prodotto dal National Health and Medical Research Council (NHMRC) australiano.
In questo documento si prendono in esame le ricerche su 61 specifiche patologie, arrivando alla conclusione che “il livello di evidenze riscontrato non è in grado di dimostrare che l’omeopatia sia un trattamento efficace per alcuna delle condizioni cliniche prese in esame”. I media, riprendendo questa affermazione, sono andati oltre, affermando che non ci sono studi che dimostrino che l’omeopatia abbia un effetto, o addirittura che i dati confermano che l’omeopatia non sia superiore al placebo, affermazioni entrambe non vere.
Si sa che l’omeopatia comporta trattamenti differenziati, personalizzati, e proporre una valutazione globale è senza senso; peraltro è come se ci si domandasse se la medicina convenzionale nel suo complesso, e non il trattamento x o y, è efficace nel curare una data patologia. Ci possono essere trattamenti che funzionano e altri invece no, e lo stesso vale per l’omeopatia, che invece viene considerata come un tutt’uno.
Ci sono in letteratura studi incontestabili in cui l’effetto di trattamenti omeopatici per determinate condizioni cliniche come diarree e otiti dei bambini, oltre che per riniti allergiche, è stato accertato. Il documento australiano considera che gli effetti positivi riscontrati non siano sufficientemente affidabili perché condotti su campioni troppo esigui e non replicati in centri di ricerca diversi. Possiamo essere d’accordo con queste critiche, ma non si possono negare questi dati o ignorarli, come invece viene fatto. Sarebbe stato più corretto identificare le condizioni cliniche per le quali esistono questi studi di buona qualità, sottolineandone i limiti e la necessità di conferme per poter trarre conclusioni definitive. Anche nella medicina convenzionale le revisioni sistematiche portano a valutazioni simili: nel 49% di esse non si possono trarre conclusioni certe e nel 96% si raccomandano ulteriori ricerche.
Anni fa l’autorevole British Medical Journal stimò che prendendo in considerazione 2500 trattamenti utilizzati nella pratica medica, solamente per il 13% c’erano prove sicure di efficacia clinica e addirittura per il 46% non c’era prova di efficacia clinica!
Alla luce di queste considerazioni, la conclusione più corretta di questo documento sarebbe stata che “c’è carenza di studi di buona qualità e condotti su un campione adeguato perché si possa valutare l’efficacia clinica dell’omeopatia”.
Su questo siamo tutti assolutamente d’accordo. Ma non dimentichiamo che l’omeopatia è per lo più praticata in studi privati, da singoli medici, che difficilmente possono partecipare a studi di buon livello metodologico. E i fondi destinati alla ricerca sono quasi inesistenti. E’ come un cane che si morde la coda: non ci sono ricerche, ma è inutile stanziare soldi per farne, quindi continueranno a non essercene. Forse a qualcuno va bene così".