La pratica regolare del Tai Chi migliora lo stato di salute e la qualità di vita. Ma ha un effetto anche sul rischio di mortalità? Pare proprio di sì.
A chiarire questo aspetto è il dottor Xianglan Zhang, professore di medicina presso l’università Vanderbilt negli Stati Uniti. Il ricercatore si è servito dei dati raccolti nel Shangai Men’s Health Study che ha seguito per anni le abitudini quotidiane e lo stato di salute di 60 mila uomini cinesi.
L’informazione scaturita è la seguente: il Tai Chi abbatte del 20% il rischio di morire, un effetto paragonabile a quello osservato tra le persone che praticavano jogging o camminavano regolarmente. Il Tai chi, però, assicura un ulteriore vantaggio: si richiede solo un’attività aerobica leggera, e può essere praticato in casa.
In Cina il Tai chi è la forma più popolare di esercizio fisico tra le persone anziane, uomini e donne. A Shangai è molto apprezzato dagli anziani perché può essere praticato in sicurezza anche se sono presenti malattie respiratorie o cardiovascolari, come può accadere se l’età è avanzata.
Va sottolineato il fatto che le persone dello studio di Shangai erano affette da condizioni croniche in misura maggiore rispetto ai “controlli”. Ciononostante la mortalità è risultata inferiore.
Non solo. L’effetto protettivo del Tai chi è stato evidenziato anche sulla mortalità cardiovascolare e per cancro. Ricordiamo, al proposito, che qualche anno fa uno studio della UCLA di Los Angeles aveva dimostrato che il Tai chi migliora le risposte immunitarie spesso depresse durante la terza età.
E’ noto, inoltre, che il Tai chi è in grado di migliorare l’equilibrio e la resistenza fisica, due risultati di estrema importanza nella terza età. Migliorare l’equilibrio significa abbattere il rischio di caduta (e le cadute costituiscono purtroppo una causa comune di infermità e perdita dell’autonomia). Coltivare la resistenza fisica, e posticipare l’affaticamento può permettere a molte persone anziane di svolgere le loro attività quotidiane con ricadute positive sulla qualità di vita. E questo fa una grande differenza.
American Journal of Epidemiology, giugno 2013
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23813700