La Medicina ufficiale si muove nei meandri della sofferenza umana con la sicurezza di un generale in battaglia, impugnando la sua logica allopatica come un’arma affilata: combattere il male con il suo
opposto, spegnere l’incendio con l’acqua, neutralizzare il sintomo
con la chimica. Ma siamo davvero sicuri che il nemico sia dove puntiamo il dito? Non rischiamo, con questo approccio, di confondere il riflesso con la fonte della luce?
Articolo tratto dal N° 146 – L’Altra Medicina
LA RICERCA DELLE CAUSE: UN METODO CHE SFIORA L’ILLUSIONE
Quanto anticipo nel sommario, utilizzato sia nella terapia farmacologica che in molte pratiche alternative, è paragonabile a una strategia di battaglia. La ricerca si concentra sull’identificazione di un “colpevole”, che sia un virus, una cellula maligna o, nel caso
dell’osteoporosi, una specifica proteina. Il concetto è ben incarnato dal simbolo presente sul marchio adottato dall’Associazione per la
Ricerca sul Cancro: un grosso microscopio! Tuttavia, questo approccio riduttivo presenta un limite evidente: confonde la correlazione con la causalità. Un’analogia efficace è quella dell’extraterrestre che osserva gli incendi sulla Terra e nota
sempre la presenza dei pompieri. Se ragionasse come la scienza convenzionale, potrebbe concludere, erroneamente, che siano loro a causare gli incendi, solo perché sono sempre presenti nelle situazioni di emergenza. Lo stesso errore metodologico si applica alla ricerca sulle malattie, dove si tende a identificare un singolo elemento
come causa primaria. È così che troppo spesso la Medicina si accanisce su una proteina, un ormone, un recettore, senza chiedersi se siano davvero la causa primaria o solo testimoni di un processo più vasto, più profondo, più sfuggente.
L’OSTEOPOROSI E L’ILLUSIONE DELLA CAUSA UNICA
Prendiamo l’osteoporosi, il lento sfarinarsi delle ossa come sabbia al vento. Nel 2003, un celebre studio dichiarò di aver trovato il colpevole: una reazione autoimmunitaria scatenata dalla riduzione degli estrogeni in menopausa. La catena era chiara e implacabile: meno estrogeni, più proteina C reattiva, macrofagi in allerta, linfociti
T impazziti, osteoclasti fuori controllo e responsabili del deterioramento osseo. Il verdetto era pronunciato: il corpo si autodistruggeva. La promessa era entusiasmante: un farmaco
risolutivo sarebbe arrivato entro cinque anni. Eppure, ventidue anni dopo, il rimedio definitivo non è ancora apparso all’orizzonte. Perché? Perché questa visione riduzionista della malattia ignora fattori cruciali come la psiche e il contesto di vita dell’individuo: l’essere umano non è una somma di proteine, ma un universo di
emozioni, credenze, paure e speranze.

OLTRE LA MATERIA: LA PSICHE E IL RESPIRO DELLA BIOLOGIA
Quando si affronta questo enigma con gli strumenti della Medicina classica, spesso si cade in un labirinto di quesiti senza risposte. Così, nel tentativo di svelare il mistero dell’osteoporosi, si indaga la trama fragile del tessuto osseo in dissolvimento, alla ricerca di un colpevole chimico o biologico. Le statistiche ci suggeriscono che questa patologia predilige le donne in menopausa, colpendo circa una su tre dopo i 55 anni. L’attenzione della scienza si rivolge così agli ormoni, cercando di spiegare perché alcune donne siano risparmiate mentre altre soccombano a questo destino. Forse gli estrogeni agiscono in modo diverso in ogni individuo? Forse il sistema immunitario
gioca un ruolo nascosto? Eppure, anche gli uomini, seppur in minor numero, ne sono vittime. Quando le spiegazioni biologiche si esauriscono, ecco l’approdo sicuro: la genetica. Un refolo di certezza nel mare dell’incertezza. Ma poi giunge un terzo incomodo, un’ombra tra le stelle a scombinare le carte: l’astronauta.
Dopo lunghi soggiorni nello spazio, privato della gravità, rientra sulla Terra con ossa indebolite, svuotate, come scolpite dal vento dell’assenza di peso. Il mistero si infittisce, poiché tutte
le teorie precedenti vacillano dinanzi a questa nuova variabile: l’ambiente extraterrestre. Mentre la scienza persevera nelle sue indagini al microscopio e le campagne di sensibilizzazione
suggeriscono dosi generose di calcio e formaggio grana, resta il fatto che nessuna soluzione definitiva è stata trovata. L’osteoporosi continua a colpire, in silenzio, come un’ombra lunga e sottile.
Secondo la Medicina omeosinergetica, la risposta sta nel modo in cui il nostro corpo reagisce alla vita. Alla luce delle scoperte di Hamer, rivisitate secondo il linguaggio degli organi ed il senso delle malattie omeosinergetici, tale impostazione suggerisce che alla base dell’osteoporosi vi sia un conflitto biologico profondo: la
sensazione di non essere più adeguati, di aver perso il proprio valore, di non farcela. Le ossa, pilastri dell’essere, cedono quando la fiducia in
sé stessi e nella vita vacilla. La menopausa può essere vissuta come un addio alla femminilità o al suo ruolo materno, la pensione come la fine della propria utilità, la perdita del lavoro come un colpo alla propria dignità ed autostima.
TRE STORIE, TRE RISVEGLI
1. La donna in menopausa: oltre la perdita, la rinascita Lucia aveva sempre pensato che il suo valore fosse legato alla sua fertilità, alla sua capacità di prendersi cura degli altri. Con l’arrivo della menopausa, sentì il suo corpo come un guscio vuoto, inutile. Alcune donne vivono la menopausa come il tramonto della propria femminilità, come un sipario che cala su un ruolo profondamente radicato nella loro identità. Se la maternità e la cura degli altri sono stati il centro
del loro esistere, l’improvvisa sensazione di inutilità può diventare un tarlo silenzioso che consuma la nostra serenità e, con essa, la struttura
ossea. Il corpo risponde alla psiche, e le ossa, simbolo della solidità interiore, cominciano a cedere, sgretolandosi sotto il peso di una svalutazione interiore. Lucia, intrappolata nel gelo di un tempo che
sfioriva, illanguidita da un comportamento atelofobico, di scarsa autostima, si sentiva terra arida, convinta che oltre i quarant’anni ogni fremito fosse condannato al silenzio. Cercò di risvegliare la pelle e la psiche con carezze artificiali, pozioni ormonali, viaggi nei labirinti della psiche. Ma ogni tentativo svaniva come sabbia
tra le dita: il suo ruolo aveva perso consistenza, la passione restava muta, la creatività spenta, il desiderio un’eco lontana in un vicolo senza uscita. Ed è così che le ossa di Lucia iniziarono a cedere, silenziosamente, come una terra che frana. Poi l’inco tro con
un medico omeosinergetico relazionale e un trainer omeosinergetico
e Lucia comprende che la causa della sua osteoporosi non era la menopausa ed i suoi ormoni, né tantomeno l’appassire della sua capacità procreativa. Cercare un colpevole l’aveva incatenata
a un’illusione, imprigionata in un pensiero sterile e immobile. Ma
la passione, l’erotismo, il respiro della natura e il fremito della creatività non si piegano al tempo: sono doni che sbocciano nella relazione più intima e profonda, quella con noi stessi. E lì, nel cuore di questo incontro, Lucia ritrova la sua libertà e scopre un nuovo senso di sé: inizia a dipingere, a scrivere, a esplorare il mondo con occhi nuovi. Il suo scheletro, riflesso del suo sentire, risponde con un’inaspettata forza rigenerativa. La vera giovinezza non
è un’illusione da rincorrere, né un trucco da indossare, ma una sorgente inesauribile che dimora nel cuore della nostra essenza. Il rifiuto e il riconoscimento, il negativo e il positivo, sono le due forze che ci plasmano, spingendoci verso la trasformazione. La maturità non è declino, ma il tempo dello scoprire chi veramente siamo.
È nell’accoglienza di ogni nostra sfumatura che riscopriamo il nostro potere: la guarigione è un atto di amore verso sé stessi, un viaggio dentro la propria luce.
2. L’astronauta e la gravità della psiche. Nello spazio, lontano dall’abbraccio della Terra, gli astronauti perdono densità ossea. Nell’assenza di gravità, il corpo percepisce l’inutilità della sua
stessa struttura portante. Se la forza di gravità non preme più su di lui, perché mantenere le ossa forti? La natura, efficiente e pragmatica,
decide di risparmiare energia: il corpo si adatta all’assenza di peso, lasciando che la densità ossea si riduca. Al rientro sulla Terra, la realtà fisica si impone nuovamente, e il corpo deve ricostruire ciò che aveva messo da parte. Questo dimostra che non è solo una questione ormonale, ma anche di necessità funzionale. E non è solo un fatto fisiologico: è una metafora potente. Le ossa si rafforzano quando servono, quando c’è uno scopo. Se la vita diventa un’assenza di gravità emotiva, anche lo scheletro si dissolve, dimenticandosi di esistere.
3. Il bidello di Cento: la psiche che ricostruisce il corpo. L’osteoporosi non è solo un’ombra che accompagna la menopausa, ma il riflesso
silenzioso di un rifiuto inconsapevole di una persona ferita. Cesare,
per vent’anni bidello, vede la sua esistenza sfaldarsi il giorno in cui viene licenziato con parole taglienti: “Non è nemmeno capace di fare il bidello.” Un colpo alla dignità, un marchio d’inutilità. Si sente un’ombra tra le ombre, un essere svuotato di valore. E il suo
corpo ascolta, il suo scheletro ne porta il peso, sgretolandosi sotto il peso dell’umiliazione. Dopo 6 mesi di terapia omeosinergetica Cesare ha una nuova opportunità, un nuovo scopo. E come un albero che, dopo un inverno rigido, ricomincia a germogliare, le sue ossa ripresero a rafforzarsi, ritrova un lavoro e, con esso, un senso di sé. Ma dopo tre mesi arriva un’altra sentenza crudele: “Ci dispiace, non è adatto nemmeno per questo.” Un nuovo crollo, un altro inverno vegetativo. Nel lungo periodo di disoccupazione, il suo corpo raccoglie il messaggio: “Non servo più, non valgo più.” Il suo scheletro, privo di scopo, smette di rigenerarsi. La malattia, compresa l’osteoporosi, non è altro che il grido di ribellione del nostro Io sono nei confronti di una normalità che ha sacrificato la naturalità, che ha congelato i nostri talenti, che ha soffocato il nostro sentire. Ma in ciascuno di noi esiste la possibilità di guarire, intesa come la capacità di ritrovare la nostra strada, di riconoscerci per Chi siamo,
Cosa siamo e Come siamo. Se da un lato, ammalandoci, manifestiamo un disagio che va oltre la
lesione biologica, allo stesso modo la guarigione richiede cambiamento, trasformazione, palingenesi, e l’adozione di una nuova prospettiva. Il lavoro fatto su di sé concede a Cesare un’altra
occasione: un lavoro in cui, riconoscendosi per come è, viene finalmente dichiarato idoneo, apprezzato. E allora il corpo, fedele specchio della psiche, risponde alla rinascita interiore: le ossa riprendono a ricostruirsi, la guarigione si fa strada tra dolori diffusi, segnale che la vita sta tornando a fluire. Perché il nostro Io sono,
quando ritrova la sua luce, sa ricomporre anche ciò che sembrava irrimediabilmente spezzato. Tre storie, tre vite, tre volti di un unico fenomeno. Quale sottile e impalpabile filo d’Arianna unisce queste tre figure in un intreccio inaspettato, conducendole a un destino comune segnato dall’osteoporosi? La chiave di lettura, allora, non è solo nella chimica e nella fisiologia, bensì nella percezione che l’essere umano ha di sé stesso: un dialogo silenzioso tra corpo e psiche.
UN NUOVO PARADIGMA: CURARE L’ESSENZA, NON SOLO IL SINTOMO
Comprendere l’osteoporosi come un fenomeno biologico legato alla psiche apre a nuovi approcci terapeutici. Non si tratta di negare
l’utilità dei farmaci, ma di integrarli con una strategia più ampia che aiuti il paziente a risolvere il conflitto/rifiuto alla base della malattia.
Se l’osteoporosi è anche una questione di percezione di sé, allora la cura non può limitarsi a una compressa. È necessario restituire all’individuo un senso di valore, una ragione per cui il corpo
voglia mantenersi solido. Dentro ognuno di noi arde la scintilla della guarigione, non come semplice riparo dal male, ma come il ritrovare la propria essenza, il riconoscersi nella propria unicità. La malattia è spesso il grido silenzioso di una persona smarrita, un segnale che va oltre il corpo, chiedendoci di cambiare rotta, di trasformarci, di rinascere. Guarire è un atto di riscoperta, un viaggio nel profondo per abbracciare quelle parti di noi che abbiamo respinto e che, per similitudine, attiriamo nelle persone e nelle esperienze che
incontriamo. È un’arte sottile, un atto di autoamore, perché nessun medico e nessuna cura possono sostituire il potere che abbiamo di riaccordarci alla nostra verità più autentica, al Chi siamo. La vera guarigione non è imposta, ma è una nostra decisione: è il permesso che ci concediamo di ritrovare le chiavi della nostra libertà.
IL FUTURO DELLA MEDICINA: UN RITORNO ALL’ESSERE
La vera sfida non è solo combattere i sintomi, ma ascoltare la storia che il corpo racconta. Ogni malattia è un messaggio, un codice da decifrare. Se impariamo a leggerlo, possiamo non solo curare,
ma trasformare, rinascere, costruire un futuro in cui la Medicina non sia solo scienza, ma anche poesia dell’esistenza. Senza una consapevolezza di Chi siamo, Cosa siamo e Come siamo, anche la scienza più avanzata è una barca senza timone. La lezione è
chiara: la conoscenza delle connessioni tra psiche e corpo può essere la chiave per affrontare l’osteoporosi e molte altre patologie. Il farmaco può essere un supporto, ma la vera cura risiede nella consapevolezza, nella ricerca di un significato, nella volontà di esserci e di continuare a costruire la propria storia. Perché finché c’è un motivo per stare in piedi, le ossa continueranno a reggere il peso dei nostri sogni. Buona vita!

Marcello Monsellato
Laurea in Medicina e Chirurgia;
specializzazione in Ortopedia
e Traumatologia. Psicologo e
psicoterapeuta. Studio di Medicine
Bioterapiche, Agopunturali e
Psicoterapeutiche. Da più di 35 anni si
occupa di Omotossicologia, Omeopatia,
Agopuntura e Terapie integrate.

Marcello Monsellato
Laurea in Medicina e Chirurgia;
specializzazione in Ortopedia
e Traumatologia. Psicologo e
psicoterapeuta. Studio di Medicine
Bioterapiche, Agopunturali e
Psicoterapeutiche. Da più di 35 anni si
occupa di Omotossicologia, Omeopatia,
Agopuntura e Terapie integrate.
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