L’anoressia sportiva è un disturbo che colpisce molti giovani atleti, spesso di sesso femminile. A differenza dell’anoressia nervosa, che mira al raggiungimento dell’ideale rappresentato dal corpo magro, chi soffre di anoressia atletica rincorre il miglioramento della propria performance attraverso la riduzione della massa corporea.
I primi studi sull’argomento sono iniziati negli anni ’90, e sono andati ad analizzare gruppi di atlete di diversi sport agonistici. L’anoressia sportiva tende a colpire chi pratica sport nei quali è fondamentale monitorare costantemente il peso corporeo per rientrare in determinate categorie (la box, per esempio), oppure rispecchiare determinate proporzioni e canoni estetici (la danza o la ginnastica ritmica). Il rischio, soprattutto per le più giovani, è di controllare in modo maniacale il corpo e allenarsi eccessivamente senza condurre un’alimentazione adeguata.
Il muscolo pesa
“A continuare ad affamare il corpo, i muscoli continuano a calare, ma fino a una certa età la giovinezza ci difende”, spiega il dottor Luca Speciani. “Poi, se continuano a nutrirci in modo errato, può esserci un crollo improvviso”.
La prima cosa da tenere a mente è che la massa muscolare pesa. È una dato di fatto: un chilogrammo di muscolo pesa un chilogrammo. È inevitabile che uno sportivo che con l’allenamento accumula massa muscolare, crescerà anche di peso.
Bioimpedenziometria: misurare per capire
Per convincere uno sportivo che quell’aumento di peso è necessario per migliorare la sua prestazione, si può sottoporlo a una seria bioimpedenziometria. Questa valutazione scompone il peso rilevato dalla bilancia nelle sue componenti di grasso, muscolo e acqua, fornendo informazioni molto preciso. Il confronto tra i valori misurati e i valori ideali per una prestazione massimale danno la misura di quanto lavoro correttivo possa essere impostato in ottica di miglioramento.
Spiegare a chi soffre di anoressia sportiva che per avere la massima prestazione dovrà pesare di più, può essere molto difficile. Fondamentale è seguire un principio di gradualità: un po’ di muscolo, con un aumento accettabile, e qualche soddisfazione in allenamento o in gara, che rinforzi il processo. Poi via di nuovo, aumentando ulteriormente qualità e quantità del cibo assunto.
La questione non si riduce mai a un numero sulla bilancia, ma richiede un percorso lungo e complesso. “Dimagrire significa da sempre perdere grasso, non muscolo” conclude Speciani. “Chi perde muscolo sta deperendo, non dimagrendo. Comprendere la differenza per qualcuno può valere un titolo mondiale, ma per la maggior parte di noi vale molto di più: una vita intera.”